Racconto Breve di Thomas Ticci
Fu al Congresso delle Nazioni che venne presentato ufficialmente il portavoce della razza aliena. Anche se la nave, atterrata tre settimane prima, aveva già scatenato il furibondo susseguirsi di voci, mezze verità e ipotesi fra gli Allarmisti e gli Accoglienti rendendo necessario un riserbo quanto mai serrato, si era riusciti a custodirlo con cautela e sicurezza.
Fuori dal palazzo, mentre le auto blu sfilavano ordinate fermandosi ad una ad una all’entrata di vetro specchiato fra una salva di flash e di domande, un cordone di uomini armati e in divisa poneva l’ordine con colpi ben assestati, fra i due schieramenti rumorosi ed urlanti.
Il portavoce delle Nazioni Unite ascoltava il report della segretaria annuendo e osservando le giacche che si univano a gruppetti sempre più numerosi e nervosi. Alcuni rimanevano soli al banco rileggendo interpellanze o consultando i quotidiani.
Il libico era il più nervoso. Si consultava di frequente ricevendo minuscoli cartigli di brevi messaggi e aggiornandosi costantemente sul tablet. Era chiaro a tutti che, essendo la nave atterrata su suolo libico, inevitabilmente ci sarebbe stata una rivendicazione da parte dello stato africano. A nessuno era chiaro però l’entità della richiesta.
Il campanello suonò avvisando i presenti che la consulta sarebbe iniziata da lì a quindici minuti.
In molti si apprestarono a sedersi prendendo posizione e ordinando le cartelle e i dossier.
La segretaria bruna, dal capello ordinato e gli occhi grandi e neri, pressata nella camicetta bianca e nella gonna stretta al ginocchio, lo aveva già informato che l’alieno era custodito dall’equipe medica in una vicina stanza d’attesa al riparo da giornalisti e fanatici.
Lui si sentì inquieto, molto nervoso. Era la gravità di quella riunione o aveva a che fare direttamente con quell’essere? Comprese che provava timore. Anche lo sguardo degli uomini attorno a lui erano stranamente penetranti. Si scrutavano vicendevolmente. Non un buon segno pensò e fra molti, osservandoli con attenzione, lesse la cupidigia e la bramosia, fatte di mosse nervose e schizzoidi.
Quando la porta alle loro spalle si aprì, tutti i presenti si voltarono. L’entrata fu trionfale, come quelle dei matrimoni. Quattro camici bianchi davanti che trainavano un’imponente macchinario fissato ad un carrello con ruote pieno di tubi e fili. Dietro altri due medici che sorreggevano l’alieno ognuno da una parte, come si può fare con un ubriaco. L’umanoide teneva l’equilibrio aggrappandosi alle staffe del carrello mentre con le altre due braccia cingeva le spalle dei medici che al suo fianco sembravano pigmei.
Il silenzio aveva accompagnato la marcia. Nessuno fino a quel momento ebbe il coraggio di proferire parola, nemmeno fra simili. Atterriti, avevano assistito all’avanzata del moribondo come osservando una bestia feroce che viene scortata fra un branco di agnelli.
Fatto sedere alla destra della commissione venne introdotto dal presidente. Il reportage medico spiegò l’esistenza del macchinario. Problemi di atmosfera, composizione dell’aria, presenza di virus e batteri. L’essere venne descritto come in grado di comprendere una lingua scritta in circa trenta minuti e padroneggiarla in meno di due ore. La tecnologia della nave rimaneva un mistero. Consulte di fisici, ingegneri e matematici non erano stati in grado di spiegare il funzionamento base dei motori, semmai il concetto fosse applicabile a quel miracoloso aspetto della tecnica. Neppure col supporto del suo comandante che faceva riferimento a leggi fisiche sconosciute.
L’avaria alla nave, spiegava l’alieno in perfetto inglese, era stata generata da un’interferenza proveniente dalla Terra. Il piano di navigazione non prevedeva l’atterraggio sul terzo pianeta del sistema solare.
Dato il via alle interrogazioni i deputati cominciarono a schiumare, eccitati, bramosi. Presero ad accapigliarsi. L’alieno tentava di fornire spiegazioni ma era difficile essere esaustivo data la profonda diversità dei propri mondi. Ogni risposta generava altre domande e una confusione ingestibile prese a coprire il tono calmo e paziente dell’indigente uomo spaziale.
Il deputato americano prese a scrivere alcune informazioni con la punta acuminata del lapis e, continuando a farlo in automatico, sollevò la testa per vedere il portavoce algerino. Aveva notato dal principio quanto fosse nervoso e quello sguardo lo inquietò. Era certo di capire quello che pensava. No, era sicuro di essere in grado di sentire i suoi pensieri. Era grazie all’alieno?
Era noto a tutti la frustrazione del governo algerino per la mancata acquisizione della nave, caduta a soli due chilometri dal confine libico. Stava pensando che era un essere disgustoso, ripugnante. Ascoltava l’algerino a più di dieci banchi da lui come se li pronunciasse ad alta voce. Una gigantesca zecca senza naso, occhi o orecchie, pensava. Una bocca indecente, un buco sempre aperto da cui fluiva una voce appestante come il fetore. L’odiava. Lo detestava. Lo avrebbe schiacciato sotto il tacco della sua scarpa per vedere se almeno qualcosa di simile al sangue scorresse nel suo corpo viscido e marrone. Il deputato degli Stati Uniti si sentì oppresso da quell’immagine. Vivida e reale si stagliava nella sua mente come fosse il parto della sua immaginazione. Lui stesso si sentiva minacciato di morte da quel pensiero sebbene non fosse indirizzato a lui. Era quell’essere che riverberava le menti?
La punta dalla matita si spezzò fra le dita dell’americano strappando il foglio di carta. L’alieno, non più seduto, rimaneva in piedi di fronte all’algerino. La giunta continuava a fissare una postazione vuota. Si sollevò un brusio. Era scomparso dalla sua posizione e si era materializzato a più di trenta metri in un attimo. Con le due braccia inferiori afferrò le mani dell’algerino immobilizzandolo sul tavolo e con quelle superiori torse in un colpo rapido e secco il collo dell’uomo che si sgonfiò sullo scranno, morto.
I presenti presero ad urlare e a fuggire. Quelli che si resero conto del fatto.
Le guardie di sicurezza estrassero le armi puntandole contro il quadrumane dalla bocca senza faccia ma sparì di nuovo per non materializzarsi più alla loro vista. Era scomparso dal palazzo.
L’americano era impallidito. Si sentì spintonare e urtare da chi, spaventato a morte, cercava di guadagnare l’uscita. Lui non riusciva a muoversi.
Quell’essere, era certo, aveva reagito al pensiero. Due volte. La prima col deputato, la seconda con le guardie. Adesso era fuori, pensò, ma non fu il terrore di saperlo vagare senza controllo. La paura, comprese, ce l’aveva tutt’attorno. E in quel mondo di paura, l’alieno avrebbe reagito senza pensare, efficace, rapido e mortale, facendo rimbalzare le sensazioni e le emozioni come pallottole vaganti. Alimentando il terrore con il terrore. L’essere umano avrebbe temuto il “diverso”, avrebbe tentato di allontanarlo, avrebbe cercato di distruggerlo se quello si fosse rifiutato. Innescata una lotta fra istinti primordiali la razza più forte avrebbe prevalso. Una razza empatica contrapposta al razionalismo umano.
Il deputato rimase solo nell’ampio salone del Congresso ascoltando gli schiocchi sordi delle pistole d’ordinanza e le grida. Provava a non pensare ma temeva di non potersi controllare. Lui aveva compreso ma gli altri? Lo capivano? Lo comprendevano? Poi osservò i due tronchi spessi e nodosi delle gambe che erano comparsi improvvisamente. La pelle scura e traslucida. L’ombra che proiettavano sul pavimento.
Sollevò lo sguardo atterrito fissando per l’ultima volta la boccabuco.
Desiderava sopravvivere. Ad ogni costo.
___
Leggi altri Racconti Brevi degli autori alieni!