Recensione di Carlotta Susca
«Tutta esteriore, spesso basata su trovate elaborate e barocche quanto sostanzialmente ripetitive, è invece la diaspora frenetica nel tempo e nello spazio di Kurt Vonnegut jr. [...], autore cui peraltro non si può negare una contagiosa carica di entusiasmo e simpatia», Storia della letteratura americana, G. Fink, M. Maffi et al.
Capita poi di leggere in testi ufficiali giudizi di questo tipo e di pensare che la carta stampata avrà anche la sua secolare dignità, ma le recensioni sui blog sono decisamente meno paludate.
La colazione dei campioni (Feltrinelli, 280 pp., € 15,00) è un libro divertente, ironico, intelligente, centrifugo, paritario (nella considerazione dei personaggi).
La storia (un riposizionamento della fabula sulla linea del tempo che andrebbe da t0 a tultimo evento narrato) non è fondamentale. Non si spiegherebbe nulla, di questo libro, dicendo che Dwayne Hoover, ricco imprenditore, e Kilgore Trout, scrittore di fantascienza, si incontrano alla fine di parallele peregrinazioni. Come per molti degli scrittori che amo, in Vonnegut il finale non ha molta importanza, la tensione è tutta nella storia e non verso lo scioglimento. Insomma, neanche nei viaggi si va da A a B ignorando il tragitto, e leggere libri è solo percorrere quel tragitto (è una banalità, lo so, ma poi si parla di narrazione lineare e non capisco quale ne sarebbe il pregio).
Frecciate ecologiche e critiche feroci alla storia dell’umanità, e un autore-Creatore dell’universo testuale (questo è, ogni Autore) che si siede nel bar in cui molti dei suoi personaggi si trovano, e che dispone dei loro destini riflettendo sul libero arbitrio. Che alla fine del libro parla con il suo personaggio Kilgore Trout (non un protagonista: tutti i personaggi hanno relazioni e passato e futuro, non ci sono comprimari) svelandogli la sua natura di personaggio, e lui, di rimando: «Fammi giovane, fammi giovane, fammi giovane!», mentre sfuma nell’indistinto.
«Sono d’accordo con Kilgore Trout a proposito dei romanzi realistici e delle loro stratificazioni di meticolosi particolari», ci dice Vonnegut. Non è nelle descrizioni minuziose che si manifesta il grande narratore, «Conosco già gli esseri umani», aggiunge. Non abbiamo bisogno di storie che si dispieghino, ariose e dettagliate, davanti ai nostri occhi, ma di narratori solidi al punto di disintegrarle e disseminarne i pezzi accanto a riflessioni lucide e pungenti, chiare tanto da sembrare naïve. E le spiegazioni didascaliche, invece, sono riservate agli oggetti più comuni, agli hamburger, alle piramidi. Non per vezzo, ma perché se un tir può sfoggiare, a caratteri cubitali, la scritta ‘Pyramid’, è utile ricordare che una piramide era «una specie di enorme tomba di pietra che gli Egizi avevano costruito migliaia e migliaia di anni prima», e che «si presentav[a] così [segue disegno]». Perché le parole, ci dice chiaramente Vonnegut, hanno perso la connessione con i propri referenti, perché nulla ha più precisione, esattezza.
Vonnegut è un attento osservatore e un ironico, intelligente, grande scrittore.
29 gennaio 2014
You are my breathing in, I own few blogs and sometimes run out from post kalibugan.xlogzwp-includesimagessmiliesicon_smile” . “‘Tis the most tender part of love, each other to forgive.” by John Sheffield.