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Le Tre Stimmate di Palmer Eldritch – Philip K. Dick

Recensione di Giorgio Michelangelo Fabbrucci

DIO PROMETTE LA VITA ETERNA.

NOI PASSIAMO METTERLA IN COMMERCIO.

Si era da poco trasferito nella zona rurale di Point Reyes, a nord di San Francisco, in un piccolo paese chiamato Marin Country. Aveva conosciuto Anne Rubinstein, vedova di un poeta noto negli ambienti dell’epoca, che presto sarebbe diventata la sua terza moglie. In quel periodo Dick cerca di abbandonare la letteratura fantascientifica. Scrive giorno e notte. Al tramonto assume anfetamine per scrivere fino all’alba.  Collassa, dorme per più di due giorni. Si sveglia per ricominciare ancora. Tornando a casa alza gli occhi verso il cielo e vede un gigantesco volto metallico.  E’ il volto di un Dio malvagio, o forse solo di un Dio la cui morale è troppo lontana dalla nostra. Il volto di una divinità creatrice, che vive infiniti piani di esistenza contemporaneamente, indifferente alle sofferenze umane: é il volto di Palmer Eldritch.

“Le tre stimmate di Palmer Eldritch” verrà pubblicato nel 1965 dalla casa editrice di New York DoubleDay. Un anno prima, in seguito ad una lunga terapia di coppia e ad una “sosta” (imposta dal marito) di Anne in un ospedale psichiatrico, Philip K. Dick divorzia. Convinto che sua moglie avesse ucciso il precedente marito, Dick attende la moglie all’uscio di casa, le punta il revolver in faccia e dice: “vattene via, non voglio vederti mai più”.

Nel terzo millennio la terra è una landa deserta. Si può uscire solo fino a mezzogiorno: orario in cui l’esposizione alla luce solare può causare la morte. Il mondo è governata dalle Nazioni Unite. Istituzione corrotta e burocratica nelle mani di un’élite afro-asiatica. Per “salvare l’umanità” i cittadini vengono precettati a popolare le colonie terresti del sistema solare. Luoghi in cui si vive promiscuamente, isolati in tuguri fatiscenti, obbligati a spalare la sabbia, a coltivare  piccoli e poveri orti. L’esistenza sulle colonie trascorre nell’abbandono. Gli ortaggi atrofizzati vengono presto dimenticati. I macchinari guasti non vengono sostituiti. I rifornimenti lasciati marcire in mezzo al nulla. Solo l’illusione di una vita sulla terra riesce a dare un senso a tutto questo sacrificio. Uomini e donne si riuniscono sottoterra. Estraggono dai loro ripostigli dei piccoli plastici con la riproduzione di un’agiata vita terrestre, quella di Perky Pat e di suo marito Walt (Barbie e Ken, ndr). Una casa delle bambole.

Come una tribù antica, siedono a cerchio intorno al feticcio. Assumono la droga Can-D per traslarsi nella vita della bambole. Varie coscienze che occupano e fanno agire due corpi fittizi, su una terra altrettanto fittizia, eppure ospitale. La “traslazione” sulle colonie diviene una specie di religione. Ci si domanda se l’esperienza sia reale o fittizia. Se sia una specie di transustanzazione. Nondimeno, più la si prova, nonostante la dipendenza, più l’esperienza appare breve.

L’insensatezza di queste esistenze annichilite sta per incontrare una nuova minaccia. Il magnate interplanetario Palmer Eldritch è tornato dal sistema di Proxima Centuary dopo dieci anni di oblio. La sua nave è precipitata, ma fortunatamente il suo carico è rimasto intatto. Un lichene alieno e vivente, che se trattato, può dare effetti ben più potenti della Can-D. Una droga che permetterà al “tossico” di plasmare ogni genere di esistenza in un universo parallelo di cui sarà il demiurgo.

Inizia la lotta per il monopolio tra Leo Bulero (Proprietario della Plastici P.P.) e Palmer Eldritch. Inizia una lunga e insensata discesa verso gli inferi per Barney Mayerson (protagonista del romanzo) e per tutta l’umanità.

La trama appena tratteggiata poc’anzi serve solo a darvi un’idea vaga. Potrei dire che Palmer Eldritch rappresenta il diavolo; Leo Bulero il capitalismo e Barney Mayerson forse l’autore stesso. Ma davanti ai capolavori si rischia di sbagliare. Ed anche quando ci si avvicina alla verità, siamo solo al livello più superficiale.

“Le tre stimmate di Palmer Eldritch” è infatti un romanzo di cui è difficilissimo parlare. E’ un’opera che scava così profondamente nell’animo del lettore da lasciare esausti a fine lettura e al contempo disperatamente assetati.

Dentro questo libro non vi è solo l’accusa ad un sistema di produzione privo di umanità, ad una burocrazia corrotta, ad una civiltà che ha perso il senso delle cose (divina l’immagine dei coloni adoranti un plastico di bamboline).

Vi è l’intuizione (o forse la paura) che il senso della vita umana, in fin dei conti, sia dannatamente sopravvalutato.

Sopra di noi, pare dirci Dick, non vi è un Dio misericordioso pronto a lenire le nostre sofferenze. Niente di tutto questo. Là sopra c’è un infinito universo oscuro, che ci ha condannati a porci domande prive di risposta e che potrebbe, da un momento all’altro, partorire un demone alieno intenzionato a farci soffrire ulteriormente… per necessità, o per il solo gusto di farlo. Forse quello che stiamo vivendo non è il solo livello di esistenza a noi proprio. Forse ve ne sono altri, di gran lunga peggiori.

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Leggi altre recensioni sulle opere di Philip K Dick! 

 

 

 

 

 

Author: Giorgio Michelangelo

Giorgio Michelangelo Fabbrucci (Treviglio, 1980). Professionista del marketing e della comunicazione dal 2005. Resosi conto dell'epoca misera e balorda in cui vive, non riconoscendosi simile ai suoi simili, ha fondato gli Alieni Metropolitani... e ha iniziato a scrivere.

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1 Comment

  1. Non potevi citare frase più emblematica, in apertura. Ottima recensione, che ha aperto la strada a una “divina invasione” nel mio cervello. ;-D

    Evidente che Dick avesse più poteri dell’Oracolo di Delfi!

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