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Il filo invisibile

Racconto scritto e proposto da Mauro Scalese

 

Li osservavo camminare svelti, tutti piegati in avanti, il giornale o la ventiquattrore sotto il braccio e l’altra mano che schiacciava il cappello sulla testa, per evitare che il vento se lo portasse via.

Vedevo una moltitudine di cappotti con gli alamari ben chiusi fino al collo, uno strato di nebbia che si mescolava all’aria fumante dei respiri profondi, le scarpe di nero lucido con il tacco intento a sbattere sul terreno pietroso, realizzando un suono che richiamava le note più basse di un pianoforte.

Arrivai in un vicolo che svoltava a destra, allontanandosi di poco dal corso principale. A quel punto mi lasciai trasportare dalla massa di famiglie dirette anche loro ai grandi magazzini, unico riparo nei dintorni.

Presi una piccola deviazione proprio al cancello d’ingresso della galleria, dirigendomi verso una porticina laterale che utilizzavano gli impiegati.

Salutai commercianti e impresari che affollavano l’atrio, l’ambiente ideale per fare una pausa e concedersi un caffè bollente. Entrai subito in bagno e non vi rimasi per più di dieci minuti.

Un tocco di cerone, i guanti bianchi per le mani, una passata di rossetto e pochi abili gesti per disegnare un lacrimone nero che scendeva dall’occhio destro.

Un perfetto mimo dei grandi magazzini.

Non è propriamente un lavoro, è più una sperimentazione sul campo: interagire, comunicare senza usare le parole, trasmettere qualcosa che non sia una buffonata da pubblico televisivo. Ma soprattutto c’è la costante presenza di quel filo invisibile, un legame ancestrale tra ogni essere vivente che ha le sue radici nelle origini più profonde e antiche dell’universo.

E io, da buon mimo che sono, non faccio altro che tendere al massimo il filo dell’umanità.

Presi l’ascensore per andare al terzo piano, intrattenendo nel frattempo bambini e adulti soltanto con un’espressione del volto. Il gioco che preferivo era imitarli, ma non nelle azioni.

La ricerca, il laboratorio di un attore che s’improvvisa mimo ha un fine: scovare i sentimenti, intuirli e infine riportarli alla luce nella maniera più satirica possibile, mostrando agli spettatori come ogni emozione sia un agglomerato di luoghi comuni, insegnamenti elementari e abitudini sedentarie. E, in genere, sono gli spettatori più acuti quelli che dopo avermi visto applaudono senza ridere, accennando appena a un sorriso triste.

Preferivo il terzo piano a tutti gli altri perché era sicuramente il più tranquillo. Sempre poca gente, i corridoi spaziosi che mi permettevano improvvisazioni d’ogni tipo.

Ma non quel giorno.

S’era fatta una calca attorno a un uomo dai capelli lunghi che stava gridando frasi senza senso. Non riuscii ad afferrare il motivo di tanta agitazione negli sguardi della folla fino a quando non vidi che il finestrone che dava sulla strada era stato frantumato.

L’uomo si guardò attorno, circondato da quelli che io avrei definito spettatori. E, probabilmente, un po’ lo erano, anche se inconsapevolmente.

Mi guardò per ultimo, come se fossi il suo ospite di riguardo, un invitato speciale.

– Adesso imita questo, se ti riesce.

E cadde, spezzando quel filo invisibile che ci legava tutti: ricchi e poveri, uomini e donne, bianchi e neri, fiduciosi e disperati. Ma non era così, e in fondo un po’ lo sapevo, ché per quell’uomo il filo s’era spezzato prima, quando ancora era vivo e, a quel punto, era già morto dentro.

Aveva soltanto smesso di credere in quell’umanità di cui ormai non ho più il coraggio di parlare.

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Mauro Scalese

Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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1 Comment

  1. Bella scrittura e sensibilità. Mi è piaciuto molto

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