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Giovanni Montanaro – Tutti i Colori del Mondo

Recensione, per lo Speciale Premio Campiello 2012, di Marco La Terra

Questo romanzo del giovane scrittore veneziano Giovanni Montanaro, finalista del Premio Campiello 2012, è stato davvero una piacevole sorpresa.

Sono stato immediatamente attratto dalla prosa dell’Autore per l’estrema intensità del registro narrativo utilizzato, semplice e intenso al tempo stesso come i dipinti di Vincent Van Gogh co-protagonista, suo malgrado, delle vicende occorse nel piccolo paese di Gheel (Belgio), nel 1881.

Questa località, meglio conosciuta come ‘il paese dei matti’, è il luogo dove è nata Teresa Senzasogni, la reale protagonista (e narratrice in prima persona) di questa lunga e appassionata lettera indirizzata appunto a Vincent Van Gogh, da lei incontrato in circostanze fortuite: Teresa non è pazza, ma è stata registrata come tale all’anagrafe di Gheel per poter godere, come è d’uso in quel villaggio fiammingo, dell’ospitalità della famiglia Vanheim.

Nel ricordare l’incontro con il famoso artista, il tono narrativo utilizzato sembra ricalcare, sul piano letterario, la dolcezza, la semplicità e al contempo l’intensità della mano di Van Gogh: Teresa dispiega cuore e mente in meravigliosi ricordi, e negli occhi di chi legge appaiono in maniera quasi magica le tinte forti, le linee nette e semplici, l’arte per certi versi essenziale ma al contempo forte e vigorosa di Van Gogh.

Il risultato, almeno per tre quarti dell’opera, è a mio avviso sublime: poesia, carnalità e disincanto si fondono in una lunga lettera, delicata, struggente e, per certi versi, rassegnata all’ovvia brevità di quest’incredibile volo. L’epilogo della magia di questo sogno è purtroppo già scritto, e più si procede nella lettura, più la forza dell’inevitabile sembra prendere forma e vigore: dietro a tutti i colori del mondo avanza, lenta e inesorabile, la tenebra dell’ignoranza.

Ad essere sincero, l’ultima parte dell’opera mi ha lasciato una punta di amaro in bocca: a prescindere dalle opinioni personali, credo di poter affermare con sufficiente obbiettività che la conclusione, più che altro sotto il profilo dei contenuti, non regga il livello delle pagine precedenti, offrendo l’impressione di un epilogo scontato e per certi versi, ‘troppo moderno’ rispetto al lirismo delle pagine precedenti.

Forse questo, o forse, più semplicemente, chi scrive non ha voluto accettare che, dopo questo bellissimo tuffo in tutti i colori del mondo, sia giunta infine una gelida coltre di tenebra ad ammantare e ammutolire il tutto.

Ammutolire, non uccidere.

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Marco La Terra
[email protected]
 

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Author: Marco La Terra

Marco La Terra, classe 1977, vive il senso di alienità dell’epoca infausta in cui è recluso in modo viscerale e sofferente, cercando di rintracciare in tutto ciò che è “altro da sé” una forma spuria di logica superiore.

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