Recensione di Ilaria Bonfanti
Una delle cose più belle che possa capitarti quando leggi un libro, è sbagliarti.
Facile leggere autori che apprezzi già, filoni che già conosci e che difficilmente ti deluderanno; la sfida vera è cimentarsi in letture nuove, che molto probabilmente non avresti intrapreso da solo, romanzi e racconti in grado di allargare la personale panoramica letteraria.
Ecco, per quanto mi riguarda, “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” ha rappresentato tutto questo e molto di più.
Lo speciale su Philip Dick mi ha messo nuovamente alla prova, lasciandomi, per l’ennesima volta piacevolmente stupita. Quando ho preso in mano “Ma gli androidi sognano pecore elettriche?” le aspettative erano minime visto e considerato che la fantascienza la mastico gran poco e ho sempre pensato non fosse nelle mie corde.
Già dalle prime battute però mi si è palesato davanti agli occhi e, a libro finito non posso far altro che ribadirlo al 100%: Philip Dick non è solo fantascienza.
Pagina dopo pagina pensieri e domande hanno affollato la mia testa, senza mai distogliermi dall’interesse per la storia. Il concetto di “palta” e l’immediato parallelismo con il materialismo, Mercer e i grandi limiti delle religioni, l’empatia e il bisogno innato di ogni uomo di condividere emozioni. Gli spunti di riflessione, le analogie con la nostra vita e con gli ostacoli e le paure dei nostri giorni, sono moltissimi. Eppure in tutto questo turbinio di domande esistenziali è impossibile non rimanere attaccati ai personaggi e alle loro dinamiche: riuscirà Rick Deckard a sconfiggere tutti i Nexus 6? Come finirà con Rachel Rosen? Prima o poi i Deckard avranno un animale “vero”?
Gli androidi assomigliano sempre più agli esseri umani e, questi ultimi vanno perdendo ciò che li caratterizza, la loro “umanità” è sempre meno evidente e la linea di confine che li separa dall’universo meccanico degli androidi è sempre più sottile. Ci si può innamorare di una macchina? Che cosa distingue l’uomo da un androide?
Il mondo presentatoci in questo libro è un mondo in cui tutto è desolazione, dove chi vuole sopravvivere deve emigrare su altri pianeti, oppure scegliere di rimanere sulla terra lasciando che le radiazioni lo imbruttiscano fino a portarlo lentamente a morte certa. In questa agonizzante attesa, a far compagnia a un’umanità sconsolata, ci sono scatole empatiche in grado di ricreare sentimenti e condivisione e, animali di cui prendersi cura. Animali veri, status symbol di una ricchezza inutile, i cui prezzi vanno a riempire cataloghi su cataloghi o, per i meno fortunati, surrogati elettrici ai quali ci si riesce persino ad affezionare.
Tutto è falso e anche di fronte alla consapevolezza del falso l’uomo non è più in grado di reagire.
Terribile? Forse, semplicemente, terribilmente reale.
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