Racconto di Ilaria Bonfanti
Ci sono balene.
Poi, c’è Wilma.
Era sempre stato così, fin da quando era piccola Wilma ne aveva piena consapevolezza: lei era una balena borderline.
Intollerante al lattosio e intollerante alla vita; sempre arrabbiata con quelle giornate che puzzavano di realtà.
“Borderline: limite o linea di confine; come una persona che cammina su una linea di confine tenderà a sconfinare in due differenti territori, così il paziente affetto da Disturbo di Personalità Borderline oscilla tra normalità e follia, senza vie di mezzo. C’è una forte tendenza a perdere il contatto con la realtà, ad automutilarsi, ad avere deliri suicidi ecc ecc”.
Wilma si ripeteva di aver scelto il meglio, fra tutti i disturbi psichici del caso.
Decisamente più interessante di una comune depressione e chiaramente più gestibile di una qualsivoglia schizofrenia.
Wilma era una balena senza grasso; gonfia di ansie e di paure si mimetizzava nel mare delle balene con eccellente maestria ma, chiunque avrebbe potuto sollevarla con un dito se solo le avesse prestato un attimo di attenzione. Un attimo di quelli veri.
Wilma aveva imparato presto a dire “tutto bene” e lì, nell’oceano della vita, non aspettavano altro che questo. I discorsi si sprecavano sulla superficie dell’acqua e non scendevano nelle profondità degli abissi; a nessuno piace sentire qualcun altro che si lamenta dell’intensità del suo star male.
Benvenuti nella finzione di Wilma mongolfiera.
A Wilma piaceva stare sulla spiaggia a leggere autori postmoderni, li alternava ai grandi classici del passato, soprattutto ai russi. Quanto erano geniali i russi, niente a che vedere col presente certo.
Le altre balene la guardavano di traverso: tolti Moby Dick e Pinocchio la bibliografia cetacea era un grande buco nero senza margine di salvezza.
Wilma sapeva che c’era oblio ed oblio e che quello di Wallace avrebbe salvato il suo genere dall’idiozia più completa. Ma è duro essere balene nel 2012, soprattutto quando si ha un dito di cervello e lo si sa usare. Inoltre, lei era una personalità borderline, una balena matta per dirla terra terra, nessuno le avrebbe dato ascolto.
Nemmeno quei testoni dei capodogli.
Wilma aveva letto delle dimensioni del loro cervello: ben 7 kg di totale idiozia.
Appena aveva un attimo di tempo abbandonava il branco e si concedeva un bel romanzo sorseggiando vino bianco frizzante. A lei quei cocktail fruttati e pieni di granatine davano il voltastomaco; molto meglio un calice di ribolla gialla di quelli mossi servito fresco. Il paradiso non poteva essere distante da tutto questo.
Cercava spiagge dove leggere e vomitare i rifiuti di una società indigesta. Balene bulimiche se ne vedono sempre più spesso, in un mondo dove l’apparenza è la nuova sostanza e l’egoismo il capo nero che sta bene con tutto, adatto per ogni occasione.
Wilma se ne stava silenziosa tra i rumori del mondo, aspettando suoni più armoniosi che la portassero lontano. Lei era bella, quel bello che te ne accorgi solo quando trovi il coraggio di guardarla fissa negli occhi. Erano occhi complicati, occhi senza lieto fine, gli occhi di Wilma avevano le ali.
Purtroppo, con gli occhi non si vola. Arturo glielo ripeteva sempre e lei, di Arturo si fidava davvero.
Arturo il gabbiano.
Il nome l’aveva scelto proprio Wilma anni fa, lo aveva chiamato come Schopenhauer sperando che anche il suo amico pennuto potesse andare al di là del concetto di rappresentazione . Perfino nei confronti di un gabbiano ci aveva messo dell’ottimismo. Con gli altri era decisamente più facile essere entusiasti.
Wilma, capace di salire verso il cielo con un gabbiano dal nome di un filosofo ma che di filosofia non ne capiva un bel nulla, per poi sprofondare subito dopo negli abissi della malinconia, trascinata da un’ingestibile tristezza. Un’angoscia nera che entrava in quelle ossa di balena, così grandi e fragili allo stesso tempo.
Wilma, una balena suicida in un mondo di idioti che cercavano cure per prolungare la vita e nel frattempo facevano di tutto per renderla il più inutile possibile.
Come Icaro anche lei si era avvicinata troppo al sole, un cuore di cera si scioglie se non riesci a dargli le attenzioni dovute.
Un addio cercato, insieme agli abbracci che un cetaceo non può dare e nemmeno ricevere con facilità.
È difficile sopravvivere senza qualcuno che ti stringa forte.
Wilma lo sapeva e per anni non aveva fatto altro che invidiare l’inconsapevolezza delle sue compagne ma lei, lei era una balena senza grasso ma dai pensieri ingombranti. Per lei era tutto più complicato.
C’erano tanti animali al suo funerale.
Pochi amici, perché per loro è più difficile dire addio.
Arturo ogni tanto fermava la sua corsa e guardava su nel cielo. Spesso e volentieri ci scorgeva una balena con le ali.
Decisamente poco hegeliano.
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29 agosto 2012
deliziosamente pungente e malinconicamente attuale…
voto estremamente positivo…
27 aprile 2016
grazie, Matteo