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Tenera è la Notte. Voci e canzoni “dell’Età del Jazz”

Brani tratti da “Tenera è la notte” di Francis Scott Fitzgerald

Leggere “Tenera è la notte” è un’esperienza profonda e commovente, che in modo raro e tragico è capace di mettere in contatto il lettore con i turbamenti e le visioni dell’autore. Al contempo è un romanzo che regala una traversata nel tempo; un viaggio che mette a nudo il mito della ricchezza e del successo, contestandone lo splendore, mantendone al tempo stesso intatto il fascino.

In questa pagina non vi racconterò la trama di questa storia in bilico tra la vita dell’autore e le alchimie dell’età del jazz. Piuttosto cercherò di arricchire l’esperienza “Tenera è la Notte”.

Ho raccolto con questo intento gran parte delle canzoni e delle musiche citate nel testo, per consentire ai futuri lettori di questo capolavoro (o a coloro che volessero rituffarsi nelle sue tenere melanconie) un’esperienza di “viaggio” ancor più veritiera ed intensa.

Seguendo questo elenco potrete ora accostare al gusto della parola magistralmente scritta , le note  suonate poco meno di un secolo orsono.

Quelle stesse note ascoltate dall’autore nei suoi nove anni di stesura.

Buon ascolto e buona lettura

Giorgio Michelangelo Fabbrucci

 

I.

Fratello e Sorella si misero uno accanto all’altro con naturalezza e le loro voci si levarono dolci e acute nell’aria della sera:

Au clair del la lune
Mon ami Pierrot
Prete-moi ta plume
Pour ècrire un mot.
Ma chandelle est morte,
Je n’ai plus de feu
Ouvre-moi ta porte
Pour l’amour de Dieu. 

Il canto cessò e i bambini, con il viso illuminato dagli ultimi raggi del sole, restarono immobili e sorridenti per il loro successo. Rosemary pensò che Villa Diana fosse il centro del mondo.

II.

In attesa del treno, sedettero in un grande portico, abbastanza alto da permettere al fumo, alle chiacchiere e alla musica di innalzarsi e l’orchestra, con compiacenza, si lanciò in YES, We Have No Bananas, – applaudirono, perché il direttore aveva l’aria così soddisfatta da sé.

III.

Dentro l’edificio un trio attaccò Cavalleria Leggera di Suppé. Nicole ne approfittò per alzarsi e l’impressione della sua bellezza e gioventù crebbe in Dick, finché non gli provocò un parossistico attacco emotivo.

Lei sorrise, un commovente sorriso infantile che era come tutta la giovinezza perduta del mondo.

IV.

“Ho qualche disco che mi ha portato mia sorella dall’America”, disse. “La prossima volta che lei viene qui , glieli faccio ascoltare. Conosco un posto dove poterli ascoltare senza che nessuno senta”.

“Sarebbe bello”.

“Lei conosce Hindustan?”, chiese insistentemente, “Non l’avevo mai sentito prima, ma mi piace. E ho anche Why Do They Call Them Babies? e I’m Glad I Can Make You Cry. Immagino li abbiate ballati a Parigi, vero?”

“Non sono mai stato a Parigi”.

Il suo vestito color crema, alternativamente azzurro e grigio mentre camminavano, e i suoi capelli biondissimi, abbagliavano Dick – tutte le volte che si voltava verso di lei sorrideva un po’ , il viso le s’illuminò come quello di un angelo quando giunsero nel raggio di un lampione a lato del viale. […] C’era in Lei un’eccitazione che sembrava riflettere tutta l’eccitazione del mondo.

“Non ho alcuna restrizione”, disse lei. “Le faccio sentire due belle canzoni che si chiamano Wait Till the Cows Come Home e Good-Bye, Alexander“.

V.

Le canzoni delicate, che legavano tempi perduti e speranze future, s’intrecciavano nella notte di Valais. Nelle pause del fonografo un grillo teneva la scena con un nota unica. Di tanto in tanto Nicole lo fermava e gli cantava:

Lay a silver dollar
On the groud
And watch it roll
Because it’s round
 
VI.
 

Si alzò anche lei, e inciampando sul fonografo, si trovò per un attimo contro di lui, appoggiata nel cavo delle sue spalle squadrate. “Ho un altro disco”, disse. “… ha mai sentito So Long, Letty? Immagino di sì”.

“Davvero non capisce… Non ho sentito niente”.

VII.

L’Orchestra stava suonando Poor Butterfly; il giovane Marmora stava ballando con sua madre. Era una canzone piuttosto nuova per loro. Ascoltando e osservando le spalle di Nicole mentre chiaccherava con Marmora padre, i cui capelli erano striati di bianco come la tastiera di un pianoforte, Dick pensò alle spalle di un violino, e poi pensò al disonore, al segreto. Oh, farfalla, i momenti si trasformano in ore…

VIII.

Dick non aveva voglia di parlare[…]. Nicole lo capì, ma solo in modo tragico e oscuro, odiandolo un po’ in modo animalesco ma desiderando anche stropicciarsi contro le sue spalle.

Entrò in casa dimenticandosi perché ci era entrato poi si ricordò che era per il piano. Si sedette fischiettando e suonò a orecchio:

Just picture you upon my knee
With tea for two and two for tea
and me for you and you for me…
 

IX.

Il grande atrio dal pavimento butterato da due decadi di scarpe chiodate era sgombro per un té danzante, e un’ottantina di giovani americani in collegio vicino a Gstaadt saltellava qua e là al ritmo frenetico di Don’t Bring Lulu, o esplodeva con violenza alle prime battute di un charlestone. […] la Sturmtruppen dei ricchi era a St Moritz.

X.

Dick si svegliò alle cinque dopo un lungo sogno di guerra, andò alla finestra e guardò lo Zugersee. Il suo sogno era iniziato in una cupa maestosità; uniformi blu scure attraversarono una piazza buia dietro alle bande che suovano il secondo movimento di Prokofiev, l’Amore delle tre melarance.

XI.

Continuarono la conversazione all’Ulpia, dove Collis Clay si sedette al loro tavolo mentre un chitarrista dotato attaccò Suona fanfara mia nella cantina piena di fiaschi di vino.

“E’ possibile che io sia stato la persona sbagliata per Nicole”, disse Dick. “Eppure credo che avrebbe sposato un tipo simile a me, qualcuno su cui pensava di poter contare… per sempre”.

XII.

“Per favore non parliamone più”, disse lei. “Per favore … non ce la faccio più”.

“D’accordo. Il poveraccio che ho visitato è senza speranze. Potremmo tornare anche domani”.

“Non capisco perché tu debba venire in contatto con tutto questo”, sbotto lei.

“Davvero? A volte non lo capisco neanche io”.

” Oh, mi spiace averlo detto Dick”.

Qualcuno aveva portato un fonografo nel bar e si sedettero ad ascoltare The Wedding of the Painted Dolls.

XIII.

Fecero una cena tranquilla. Dick bevve molta birra e giocarono allegramente coi bambini nella sala semibuia. Poi Dick suonò un po’ di Shubert e del jazz e Nicole canticchiò sulla sua spalla con la sua voce rauca da contralto.

thank y’father-r
thank y’mother-r
thanks for meeting up with one another.

“Questa non mi piace”, disse Dick, girando pagina.

“Oh, suonala!”, esclamò lei. “Devo continuare a indietreggiare tutta la vita davanti alla parola “padre”?”.

XIV.

Tommy sbirciò con precauzione dalla finestra e riferì.

“Tutto qullo che vedo sono due donne sul balcone sotto il nostro. Stanno parlando del tempo e si ondeggiano su delle sedie a dondolo americane”.

“Facendo tutto quel baccano?”

“Il rumore viene da qualche parte sotto di loro. Ascolta”.

Oh, way down South in the land of cotton
Hotels bum and business rotten
Look away…

 

 
 
 

Author: Giorgio Michelangelo

Giorgio Michelangelo Fabbrucci (Treviglio, 1980). Professionista del marketing e della comunicazione dal 2005. Resosi conto dell'epoca misera e balorda in cui vive, non riconoscendosi simile ai suoi simili, ha fondato gli Alieni Metropolitani... e ha iniziato a scrivere.

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