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Quattro minuti terribili

Racconto scritto e proposto da Sabrina

Roy Lichtenstein, Thinking nude

Ognuno di noi ha i suoi modi per usare il prossimo.
Probabilmente anche Madre Teresa di Calcutta si sarà sentita meglio nell’adocchiare qualche sorella dai fianchi larghi o un occhio vispo che se ne va per fatti suoi.
Lo fanno tutti, adesso lo so.
Tuttavia per un poco, in quella giornata d’agosto, mi ero quasi preoccupata: avevo creduto di esagerare, io, che non esagero mai in niente.
Non saprei dirvi il perché ma un certo punto, seduta su un lido, in qualche spiaggia del Mediterraneo che ora non ricordo, mi ritrovai a fare il punto della situazione sui miei rapporti “usa & getta”.
Ebbene, vi giuro che per tre o quattro minuti abbondanti non fui più io.
Successero cose strane, alle quali io personalmente non sono abituata (e detto tra noi non mi ci voglio nemmeno abituare): tre o quattro minuti tra i più bizzarri della mia vita, più assurdi di quella volta in terza elementare, in cui credetti di essere morta dopo una caduta in bicicletta e all’ospedale parlavo al dottore chiamandolo Dio.
Ne ero convinta.
Ma adesso, con tutta la calma del caso, vi spiegherò che cosa accadde nella mia testa, in quel lido, seduta su quella sedia, a quella determinata ora.
Per poco non impazzii.
Vi ho gia detto che tutti usano il prossimo, e questa è cosa certa, ma per la prima volta mi chiesi come avrei reagito se qualcuno lo avesse fatto con me, come me.
Ero forse l’unica ad adottare quelle tattiche sprezzanti per sentirmi meglio?
Usavo mio cugino per sentirmi intelligente; suo fratello, quello stupido, per sentirmi furba; la ragazza del secondo piano per sentirmi fiera della chioma dei miei capelli e quella del palazzo di fronte, che aveva un nome inutile tipo Gina o Pina, mi faceva ringraziare il cielo di non avere l’apparecchio: voglio dire, chissà che palle sfoderare quel sorriso d’argento ogni volta che apriva la bocca!
Quel ragazzino storpio mi faceva venire una gran voglia di saltare, per non parlare di Billy, il ragazzino cieco, che ogni qual volta me lo trovavo di fianco iniziavo a delirare su forme e colori. Frasi come “guarda che bel cane” o “mi trovi più carina?” mi venivano naturali, senza vergogna.
Questo, in sintesi, il mio rapporto con le persone che per me non contavano molto: le usavo, brutto a dirsi, per ingigantire il mio Ego.
Mi servivano, mi servivano tutte.
Rabbrividii studiando la naturalezza della mia perfidia.
Io non volevo essere perfida, ma era così. Era anche peggio, ad essere sinceri.
Riflettendo sul mio modo di speculare sulle disgrazie altrui mi sentii male, tipo mal di pancia o mal di testa, non ricordo bene, ma comunque niente di piacevole.
Rimasi perplessa in uno stato di semi – incoscienza, persa in un vago desiderio di catarsi.
Volevo chiedere scusa a qualcuno, Dio o qualcosa del genere, liberarmi dei miei peccati di megalomania. Volevo un bel bagnetto, con tanto di schiuma e paperelle, per lavarmi la coscienza.
Era orrendo ritenermi superiore agli altri, era diventata un’abitudine: un lavoro a tempo pieno, mal retribuito.
Che ci potevo mai fare, del resto? Provai a recitare un’apologia di reato, temperandola con i barlumi di una ritrovata coscienza, ma ogni sforzo venne mortificato dal mio Ego indistruttibile.
“Dunque… mi dispiace essere più simpatica degli al… No, riprovo”.
“Mi dispiace che non tutti possano essere in gamba come me”.
Non stava funzionando.
A un certo punto mi venne l’illuminazione, la formula giusta, il miglior sedativo per tutti quei turbamenti: “mi dispiace ma non posso più pensare a quanto ho peccato, perché ho bisogno di bere”.
Cos’è il genio, del resto?
Mi alzai e andai a prendere del vino, dimenticandomi di tutto.
Dal tavolino al bancone lanciai occhiatacce di disprezzo a tutti i presenti, vecchi e bambini, cameriere incluso. Mi stavo riprendendo.
“Mi dia del vino perlomeno accettabile”, dissi fissando quell’idiota di un cameriere, che idiota non era, ma sentivo il bisogno di vederlo così.
Camminai sulla spiaggia infischiandomene della sabbia che volava sui teli di quella gente ridicola e alla fine andai a sedermi molto lontano da tutti, in disparte, perché non valevano abbastanza.
Cominciai a sorseggiare il vino, e mi sentii meglio.
Tutto era perfetto, finalmente.
___

Sabrina

Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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2 Comments

  1. la protagonista deve essere superiore a se stessa per sopportarsi.

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  2. In un mondo di vanagloriosi obbligati per legge è curioso che la vanagloria sia ancora considerata un peccato. Ma tanto ai peccati non pensa più nessuno, se non gli atei. A rileggerti, Sabrina!

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