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La giornata di un lampione

Racconto scritto e proposto da Domenico Gullia

7:08 
La luce è fioca, vaporosa, la temperatura di un tepore timido: il paese dove abita il lampione è ancora inchiodato in una realtà onirica difficile da smantellare. Si è spento da poco il lampione ma si erge ancora fiero, sebbene curvo all’estremità, sempre costretto nel suo punto di vista privilegiato. C’è poco da scrutare, per ora: qualche rara macchina di passaggio, pochi passanti già fagocitati entro il mondo reale, per scelta o necessità, e una serranda che inizia a sollevarsi scricchiolando, a scatti, incerta, come se vi fosse ancora il dubbio sul da farsi, in questo giornaliero dualismo fra realtà e sogno. Alla fine la serranda si alza del tutto, forse mossa da un obbligo inderogabile: alla finestra si affaccia una ragazzina bionda con due vistose occhiaie – deve aver dormito poco, pensa il lampione – che divarica le braccia in uno sbadiglio plateale a sottolineare la non volontarietà di quel risveglio, quasi per far sentire in colpa qualcuno o qualcosa. Il lampione vorrebbe chiedere alla sveglia se si sente in colpa per questo sonno mancato, ma crede di conoscere già la risposta: del resto non si imposta da sola, una sveglia. Non capisce, non afferra, lui – lampione – non dorme, si accende e si spegne, ma è una cosa diversa: da spento continua a vedere, non attraverso la propria luce però.
Non più.

7:45
 Il numero delle macchine aumenta, prima in una direzione e poi nell’altra. Chi va a scuola, chi a lavoro, chi si è perso e abbassa il finestrino in cerca di coordinate vocali.
8:03
9:05
 C’è un clima di stabilità, un’armonia appena abbozzata ma comunque palpabile; alcune persone passano sporadicamente accanto al lampione infilzato a margine del marciapiede (quasi fosse una nota ai piedi di una pagina bituminosa) e si curano di evitarlo se la loro traiettoria è a rischio. Ma non lo è quasi mai – a rischio – perché bisogna essere particolarmente distratti, o ubriachi, per prendere certe direzioni periferiche.

9:57
 Una macchina si ferma proprio di fronte al lampione, due ruote a cozzare sul bordo del marciapiede in un tentativo – solo parzialmente riuscito – di non infastidire le altre auto di passaggio su quella corsia: doppia freccia. Dalla vettura scende un uomo alto con la barba ispida, che sbatte la portiera con la mano libera: l’altra quasi stritola un cellulare. Il lampione si chiede cosa stia dicendo quell’uomo al telefono, visibilmente infastidito, ululante e singhiozzante al contempo, in una lingua che non gli è dato capire. L’uomo sembra voler sbattere il cellulare per terra, poi ferma il gesto, lo sospende, ma pur nella sua incompiutezza quel gesto assume un significato definit(iv)o: il lampione tira un Watt di sollievo, con quel poco di energia residuale, per quell’oggetto graziato. L’uomo, sconsolato, si appoggia al lampione, poi inchioda il proprio sguardo ai piani alti di una palazzina sullo sfondo; avviene uno scambio termico fra i due corpi: questo è un linguaggio che il lampione è grado di afferrare.

11:08
 C’è un replicarsi meccanico di eventi gemelli, differenti per piccoli dettagli, lì intorno. Il lampione coglie le sfumature, zelante, inserisce le targhe delle automobili nel suo archivio: spesso quelle auto sono già passate di lì almeno una volta, e in questo caso la sensazione che prova è più o meno simile a quella che avvertivano alcuni conducenti quando da piccoli – aprendo la bustina delle figurine – trovavano dei doppioni.

12:34
 In genere non sono molte le famiglie radunate intorno al tavolo nei mezzogiorno infrasettimanali: il pranzo odierno non fa eccezione. C’è un anziano seduto che il lampione osserva attraverso la finestra spalancata: probabilmente è una persona nuova appena trasferitasi lì, in quell’appartamento in affitto (al lampione non era certo sfuggito il cartello verde – incollato al portone – con la scritta “AFFITTASI” e un numero di telefono, a dire il vero non ancora rimosso: forse non tutti gli appartamenti in affitto sono stati affittati, per ora, o forse è solo il risultato di pigrizia o dimenticanza). Poi una figura si sporge entrando nel campo visivo del lampione: è una donna anziana, allora l’uomo non è solo – pensa, ed è sconvolto, disorientato, perché per la prima volta vede una coppia di persone sedersi di fianco, non una di fronte all’altra ad un tavolo. Sullo sfondo c’è una televisione accesa ma nessuno dei due pare voltare il collo per guardarla: sembrano assorti nel compito di sorbire la minestra dal cucchiaio. Non si rivolgono la parola, eppure non c’è sintomo di una qualche distanza fra i due, anzi, c’è una complicità profonda, tanto cementificata da non richiedere parole: la comprensione abissale dei gesti, un convergere di sguardi nello stesso sguardo.

13:28
 Dopo svariati minuti di desolazione urbana un ape-car procede cauto, il lampione ne segue il tragitto come in una panoramica lenta. Poi svolta, rimpicciolisce, finisce fuori campo. Qual è il nocciolo della questione? Arrivare al punto B partendo dal punto A o il percorso intrapreso per farlo? Lo spostamento o lo spostarsi? L’urgenza di un traguardo o la necessità di una strada? Il fine o il mezzo?

13:55 
Un cappello di paglia di dimensioni pronunciate saltella sulla strada, accompagnato dal vento. Il lampione attende al varco un proprietario che lo rincorra, ma non arriva.

14:42
 Deserto senza miraggi.

16:30
 Torna a esserci movimento, lì intorno: è l’uscita dalle scuole, un tripudio di zaini dai colori sgargianti, piccoli arcobaleni terrestri, di inseguimenti e risate, rumori di caramelle scartate, sminuzzate, inghiottite, discorsi tra madri che si lamentano dei mariti, intimazioni a non attraversare la strada da soli urlate a un livello frastornante di decibel, cellulari che sparano musica en plein air. Il lampione osserva, qualcosa gli sfugge, qualcosa no, qualcos’altro si posiziona in una zona intermedia.

17:01 
Un gruppo di ragazzini gioca a colpire il lampione – da una certa distanza – con delle piccole pietre. Non è facile come può sembrare, infatti solo dopo qualche tentativo uno dei ragazzini riesce nell’impresa, solleva le braccia al cielo gonfio di soddisfazione e palesa la sua gioia ai compagni. Il lampione – sua fortuna – non può avvertire il dolore ma solo gli sbalzi termici: ciò gli consente di interrogarsi su quel rituale da una certa distanza, privo del filtro del rancore.

18:43
 Una nuvola di fumo avvolge il lampione, forse qualcuno nei paraggi sta bruciando una montagnetta di erbacce in giardino. Gli era capitato, qualche volta, di vedere delle persone mentre separavano le erbe cattive da quelle buone, estraendo quelle cattive dal terreno: in base a quale parametro vengono separate le erbe? – si era chiesto allora – chi lo ha stabilito? cambia di volta in volta o è sempre uguale? vale per tutte le persone o ognuna ne ha uno suo? esistono anche l’erba vigliacca, l’erba bugiarda, l’erba vanitosa? e come si può fare per capirlo?
Il fumo si disperde.

19:35
 Alcune famiglie stanno cenando, altre si accingono a farlo. Le posate tintinnano aritmicamente sui piatti mentre lo sguardo del lampione si agita indeciso fra diverse porzioni di spazio. Poi si ferma, mette a fuoco: c’è una bambina dagli occhi color nocciola che piange, forse non ha più molta fame ma i suoi genitori non vogliono farla scendere dal tavolo finché non avrà finito quel che c’è nel piatto, forse sua madre ha appena controllato il diario e ha trovato una di quelle brutte note scritte con la penna rossa. Poi cambia direzione, poi ancora e poi di nuovo, come se stesse facendo zapping fra uno sciame di gesti. Vorrebbe poter vedere dietro le tende, le serrande: cos’hanno quelle persone da nascondere? – si chiede.

20:34 
«Se i corpi luminosi sono carichi d’incertezza, non resta che affidarsi al buio, alle regioni deserte del cielo. Cosa può esserci di più stabile del nulla?» [Italo Calvino, Palomar]

21:00 
Per il lampione è giunta l’ora di accendersi, riscaldare e coordinare i corpi di passaggio nel suo raggio d’azione. Una coppietta si avvicina: lui estrae un pennarello rosso e scrive qualcosa sul palo grigio, poi lo cede a lei, che fa altrettanto.
Il lampione diventa testimone oculare di un’aperta dichiarazione di guerra all’oblio.

22:30
 Una signora dai capelli color rame sta portando a passeggio un cane tascabile, che – giunto in prossimità del lampione – solleva una zampa e urina: il lampione è percorso da un brivido di cui non può dare manifestazione, ma è nuovamente spiazzato, non capisce, vorrebbe potersi accendere a intermittenza – pur per qualche istante – per rispondere in qualche modo a quello che presume essere un tentativo di stabilire una comunicazione.
00:01
Il paese si spegne gradualmente, si addormenta. Il lampione è chiamato a vegliare sui nottambuli.

01:45
 Un ragazzo su un’Alfa 147 rossa passa di là e il lampione lo guida per un tratto di strada, per consegnarlo poi al lampione successivo, qualche metro più avanti. Nel passaggio non vi è cenno di ringraziamento da parte di quel ragazzo, il pensiero non lo sfiora neppure: forse con il tempo questa pratica si è fatta tacita.

02:24
 Sarebbe bello poter filmare un time lapse, con tutte queste luci bianche e rosse che sfrecciano oltre i limiti di velocità.

4:02
 La giornata del lampione sta per volgere al termine, e con essa questa parentesi di visioni e spostamenti di calore: il lampione ne terrà traccia per sempre, o almeno fino all’eventuale smantellamento (in tal caso sarà il suo, di sempre), mentre già  si prepara a un nuovo immagazzinamento, come lo scorrere ciclicamente virtuoso della sua esistenza gli impone di fare.

06:00
 Il lampione si spegne, è tempo di salutarlo: alla prossima, vecchio mio.
___

Domenica Gullia

Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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