Recensione per lo Speciale Strega 2012 di Andrea Corona
«C’è troppa creatività nel mondo. Ecco cosa c’è che non va in questo posto. Troppe porcherie». Come dare torto all’agente Pat Coyne (lo scoppiato di Hugo Hamilton che abbiamo conosciuto la settimana scorsa) dopo aver letto La colpa di Lorenza Ghinelli? Che i libri della Newton Compton non siano il massimo non lo scopro certo oggi, trattandosi di una casa editrice che potrebbe fare del «Risparmio» il suo slogan. Ora, che i romanzi italiani somiglino sempre più a delle sceneggiature per la tv è stato già notato da Giulio Ferroni (Scritture a perdere. La letteratura negli anni zero, Laterza). Il problema, con romanzi come quello della Ghinelli (sceneggiatrice) sta appunto nell’approccio alla scrittura: non che il suo libro presenti molti errori strictu sensu, ma è come se procedesse da un blocco di partenza storto, che spinge la penna verso una direzione lontana, decisamente altra da quella del romanzo.
Un romanzo che parte da questa situazione: Estefan, un ragazzo di 19 anni, riprende ad avere gli stessi incubi e le stesse visioni che lo tormentavano da bambino. Adesso, però, è finalmente in grado di comprendere la natura di quelle angoscianti visioni: all’età di 9 anni fece qualcosa al suo fratellino Sebastiano, qualcosa di orribile, forse causandone addirittura la morte. Estefan è certo di aver desiderato, all’epoca, la morte di Sebastiano, ma non ricorda fino a che punto quelle fantasie fossero rimaste effettivamente tali o se si fossero invece concretizzate in un’azione abominevole.
Se non è la vicenda in sé a farmi storcere il naso, lo è sicuramente il modo in cui questa viene resa: frasi a effetto, metafore fuori contesto e soprattutto un’accozzaglia di riferimenti letterari e cinematografici (ma ho già detto che la Ghinelli è sceneggiatrice). Alcuni esempi: il modo in cui Estefan riporta alla coscienza il trauma infantile, cui fa seguito l’impulso di camminare sui binari e di prendere un treno in pieno petto, ricorda in modo un po’ troppo sospetto la scena finale del film The Unsaid – Sotto silenzio di Tom McLoughlin. Andiamo avanti: il modo in cui stuzzicava, dieci anni prima, il fratellino nella culla, premendogli un dito sulla guancia fino a fargli male, riprende in modo altrettanto sospetto una scena di Joshua, un film di George Ratliff sul complesso di Caino di un bambino di 9 anni (stessa età di Estefan all’epoca). E ancora: il modo in cui Estefan sente il respiro irregolare, sempre più simile ad un rantolo, del piccolo Sebastiano, salvo non intervenire e starsene impalato, sembra rifarsi stavolta una scena di un film italiano, La ragazza del lago di Andrea Molaioli, in cui i genitori del piccolo Angelo fanno esattamente lo stesso. E, badate bene, la lista è lunga, perché il romanzo pullula di altri “omaggi” del genere (da Roman Polanski a Dario Argento, se vogliamo fermarci solo a pagina 80, cioè a un terzo del libro).
Quanto agli “omaggi” letterari, invece, ve ne sono tanto nei confronti di autori americani (su tutti, Stephen King) quanto di autrici nostrane. Si prenda, ad esempio, Dei bambini non si sa niente di Simona Vinci (Einaudi). Se nel libro della Ghinelli abbiamo Martino, il bambino che viene violentato, in quello della Vinci vedevamo la piccola Martina (stesso nome, fra parentesi) subire una sorte analoga; se nel romanzo della Vinci comparivano Matteo e la piccola Greta, in quello della Ghinelli abbiamo… Matteo e la piccola Greta (anche qui: cambiare nomi, magari?).
A questo punto, mi domando: come la mettiamo? La colpa è stato salutato dalla critica italiana come un capolavoro, come un affresco sull’incomunicabilità dei giovani d’oggi e soprattutto come un viaggio nella psicologia infantile; eppure, col rischio di suonare desueto, il mio consiglio a quanti volessero leggere un vero viaggio nella psicologia infantile, completo di colpe e segreti, è di volgersi alla narrativa d’introspezione della Vienna di cent’anni fa. Ne sono due ottimi esempi Bruciante segreto di Stefan Zweig e Il figlio di Arthur Schnitzler (dove pure, fra l’altro, si parla di un tentato infanticidio).
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Andrea Corona
5 luglio 2012
Paradossalmente, la tua recensione mi incuriosce all’acquisto del libro: possibile che questa manifestazione così bella sia ormai in declino?
5 luglio 2012
Ciao e grazie innanzitutto per il commento.
Ti dirò: non sono molto soddisfatto di questa mia recensione. Anzi, ne sono davvero poco soddisfatto; ma non è facile recensire un libro che, più che un romanzo, sembra uno storyboard di un film-tv con quei tipetti alla Guglielmo Scilla. Ma oramai mi pare di capire che i libri finalisti dello Strega siano destinati a diventare dei film (per la tv o per il cinema).
Mi spiego: Lorenza Ghinelli è molto brava a fornire delle immagini visive (alcune belle, altre no, alcune forti, altre no), ma non so questo e se questo insieme di immagini possa definirsi romanzo.
E aggiungo: non ho potuto dirlo nella recensione perché l’ho già scritto in precedenza su un altro sito, ma credo di poter riportare qui, nello spazio dei commenti, un estratto da un mio articolo dello scorso maggio che sarebbe stato perfetto per questa recensione (e in parte anche per la recensione di Giorgio Michelangelo Fabbrucci al libro “Inseparabili” di Alessandro Piperno):
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Eventi come il Premio Strega e il Salone di Torino, scrive Ferroni […], sono prossimi a dei palcoscenici o a delle passerelle. Ciò in quanto lo scrittore, oggi, è qualcuno che appare, e il libro, di conseguenza, è anch’esso qualcosa che deve innanzitutto saper apparire. […] il mercato e il mondo dei media sollecitano, promuovono e producono una letteratura che risponde a effetti che sono in realtà già previsti, predisposti e predeterminati, andando incontro a dei target precostituiti di lettori, non di rado spettatori televisivi a cui è rivolta la comunicazione commerciale. Chissà, forse è per questo che oggi gli “scrittori” sono più numerosi dei lettori e i romanzi sembrano sceneggiature televisive. L’eleganza delle frasi fa posto a delle indicazioni visive nelle quali, senza alcuna ricercatezza per la parola, vengono offerte delle immagini e degli schemi da fiction televisiva più che da romanzo. Quando Ferroni scrive che «abbiamo bisogno di un’ecologia della comunicazione che agisca come ecologia della mente» sembra voler dire proprio che la conformazione mentale degli scrittori fa ormai tutt’uno con quella dei telespettatori, i quali, ingerendo ciò che viene loro propinato, formano, nei loro libri, una sorta di bestiario della cultura popolare, spesso senza capo né coda.
[da: Temperamente.it]
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9 luglio 2012
Dopo aver visto la diretta della premiazione, credo che il tuo raffinato intervento sia permeato da un’eccessiva dose di ottimismo.. il che è tutto dire… O tempora, o mores!
10 luglio 2012
Grazie mille; su Facebook si direbbe “Mi piace questo elemento”
27 luglio 2012
Da profano, dico che gli editori dovrebbero piantarla di presentare ogni foglio pubblicato come “il caso letterario” dell’anno, facendo un cattivo servizio sia al lettore che all’autore. Di casi letterari dell’anno sono piene le librerie. Ho provato subito fastidio nel leggere questo pseudo-romanzo fin dalle prime pagine per il linguaggio pretenziosamente innovativo ma che fa troppo l’occhiolino strabico alle esigenze commerciali. Sembra che anche in letteratura sia necessario choccare il lettore con frasi ad effetto. La trama, nella sua invenzione narrativa, poteva trovare uno sviluppo più penetrante e altrettanto – e forse più – choccante con la semplicità del linguaggio di tutti i giorni. Concordo sulla eccessiva bontà della critica – a parte che è facile inserire delle frasi in quarta di copertina estrapolate dal contesto. Insomma ad ognuno il suo mestiere, a meno che la Ghinelli non dimentichi gli obblighi contrattuali e si metta a scrivere sul serio in italiano.
27 luglio 2012
Virgilio, concordo in pieno! Già nelle prime pagine emerge un linguaggio forzatamemnte innovativo (che infastidisce, hai ragione), fatto di frasi e effetto e corredato anche di metafore piuttosto discutibili. Ad esempio, anziché voce stentorea, Ghinelli dice “voce in dolby surround 5.1″
Ma che razza di metafora è?!
Grazie per il commento!
23 agosto 2012
Ho letto l’incipit del libro su una locandina pubblicitaria. Al di là dei tuoi commenti condivisibili, cito testualmente: “….mentre gli sale in corpo un sangue rettile che puzza di tempesta”. Oppure: “Intorno, il pelo serico dei campi aggredisce gli occhi….”. E ancora: “Estefan scappa, con un mezzo mastino ringhiante graffettato al culo.”. Nelle poche pagine di presentazione del libro ho trovato decine di queste “fantasiose” espressioni, come in un film dell’orrore di modesta fattura nel quale, ogni cinque minuti, un colpo di scena sottolineato dal volume assordante del commento sonoro si presenta a spaventare il pubblico in sala. Questa non è letteratura. Può essere qualcosa d’altro – qualsiasi cosa – ma per favore non chiamiamola letteratura.
23 agosto 2012
Esattamente, Cesare! Ghinelli inonda il lettore con queste immagini e con queste, come dire, didascalie naïf, e lo fa sin dal primo capitolo. E purtroppo il libro è scritto tutto in questo modo.
E il problema è che qui non siamo dinanzi al romanzo d’esordio di una liceale, ma stiamo parlando di una scrittrice affermata e acclamata dai critici, i quali ne parlano anche come di un modello da cui le giovani penne dovrebbero prendere esempio.
Non dovrei scandalizzarmi più per queste cose, ma è avvilente, e lo dico senza retorica: è davvero avvilente. Al momento di scrivere questa recensione, infatti, non sapevo neanche bene cosa dire, dato che, personalmente, non ho avuto l’impressione di aver letto un romanzo; eppure stavo recensendo uno dei libri più venduti quest’anno in Italia…