Recensione parziale per lo Speciale Premio Strega di Giorgio Michelangelo Fabbrucci
Sono arrivato a pagina centoquindici. Con grande maleducazione nei confronti vostri, ai quali dovrei la decenza di una recensione completa ed esaustiva, e nei confronti dei miei colleghi Alieni, intenti a vergare il secondo Speciale Premio Strega, ho interrotto la lettura a pagina centoquindici. Tra le altre cose il libro me lo ha regalato mamma all’anomastico, pardòn, onomastico… ma a forza di narrativa italiana con le sue storie di gente ricca e piena di turbe sessuali e mentali non posso fare a meno di freuidiani lapsus, anche in questa sede.
Ludovica sta guidando una polo verde oliva verso Malpensa, per accompagnare Samuel (detto Semi) in finto ritardo, dopo un ape in quel di Brera(MI). Ma questo è un flashback, perché Samuel prima di pagina centoquindici (in linea cronologica dall’incipit del secondo capitolo) è in una stanza di albergo a cinque stelle con vista Tamigi che rimugina sulla sua esistenza dopo essere stato minacciato con una pistola puntata – indovinate dove?- ai testicoli. Tra l’altro Samuel è impotente e nelle pagine precedenti (rispetto al flashback ovviamente) ho imparato molto di ciò che psicologicamente produce l’impotenza sugli uomini, ma anche sulle donne. Perché Samuel è fidanzato con Silvia (anche se al momento sta broccolando con Ludovica) e Silvia garantisce sul fatto che il sesso non è tutto per noi donne, anzi, per certi versi comprendiamo appieno la necessità dell’attrezzo del compagno di prendersi una boccata d’aria dopo tanti anni assieme. Samuel è un uomo di successo, o almeno lo è stato. A pagina centoquindici è ancora un uomo di successo e quindi pieno di complessi. Gli stessi che, seppur per ragioni differenti (mancando l’attrezzo) nutre Anna, la cognata di Semi, ex ninfetta di “Non è la Rai” (dopo Superwoobinda le ex ninfette di “Non è La Rai” mi danno il volta stomaco). Anna è una ragazza che ha conosciuto il successo con la famosa trasmissione prima citata e che nel corso degli anni ha intrapreso la carriera nel mondo dello spettacolo, rimanendo però intrappolata in ruoli secondari tra le fiction televisive. Sicuramente motivo di disagio psicologico profondo, al quale dobbiamo aggiungere una forma fisica invidiabile che, unitamente al ruolo autoritario del ricchissimo padre, l’ha portata spesse volte sugli argini dell’anoressia.
Tutto ciò però non è nulla rispetto all’invidia che nutre Anna in questo momento nei confronti del marito, Filippo Pontecorvo, fratello di Semi (Samuel). Filippo è il classico marito mantenuto, che non ha ambizioni di alcun genere, anzi, il solo pensiero del successo lo imbarazza. Eppure, proprio grazie alla generosa intromissione della moglie nella sua apatica felicità, scoprirà di essere un novello Bertolucci. Disegnatore perditempo di fumetti, viene “scoperto” dall’agente di Anna, il quale produrrà un cortometraggio di successo basato sulla trama dei suoi schizzi portandolo agli onori di Cannes. Anna non può sopportare che il marito sia giunto senza sforzi e senza interessi al tempio del cinema europeo e quindi lo punisce con una feroce astinenza sessuale che terminerà con un amplesso frugale in Motel intorno a pagina settanta, in cui il lettore scoprirà finalmente le singolarità sessuali della ex ninfetta.
Sono arrivato fino a qui.
Poi ho sentito il bisogno di interrompere tutto e scrivervi questo terzo di recensione. Il lessico è scelto in modo davvero brillante; il tono è costantemente ironico e l’incipit del romanzo conquisterebbe anche il lettore più ritroso.
Eppure a pagina centoquindici mi sono guardato intorno e non ho visto nessuna emozione, nessuna musa tendermi la mano. Nulla. Solo l’ossessionante timore di vedere l’ennesimo film, magari con Stefano Accorsi nel ruolo di Samuel e Pierfrancesco Favino nel ruolo di Filippo, girato tra le traslucide Roma e Milano, senza una cicca per terra, dove c’è sempre parcheggio, dove gli happy hours e le cene non finiscono mai e dove il senso della tragedia umana si consuma tra una pastiglia di prozac, un amplesso complesso ed un attico in centro.
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Giorgio Michelangelo Fabbrucci
7 comments
Constantin Brancusi says:
lug 5, 2012
RispondiSei davvero un Alieno molto cool (spettacolare la tua recensione su ‘Mr.Gwyn’ di Baricco) e con questo tuo lavoro non fai altro che confermare la mia impressione… bravo! Sono contento di leggere queste genuine esternazioni di critica letteraria, intense e sincere. Se un romanzo non è piaciuto, è giusto urlarlo ad alta voce e spiegarne le ragioni: con il tuo stile arguto e ficcante, arrivi diritto all’animo del lettore. Davvero complimenti!
Andrea Corona says:
lug 5, 2012
RispondiQuesto libro e questa recensione fotografano molto bene la situazione editoriale italiana, e il conseguente smarrimento (e/o disperazione) dei lettori, che vorrebbero leggere un romanzo e si ritrovano invece a ‘vedere’ una fiction con Stefano Accorsi e Pierfrancesco Favino. Concordo e sottoscrivo al mille per cento (perché purtroppo capita anche a me lo stesso).
E ovviamente mi unisco ai complimenti a Giorgio Fabbrucci, che è riuscito a trarne comunque una grande recensione (doppi complimenti allora).
the disgusted reader says:
lug 5, 2012
RispondiSi sbagliera’ di rado se si ricondurranno le azioni estreme alla VANITA`, quelle mediocri alle ABITUDINI e quelle meschine alla PAURA… (F. NIETZSCHE)
R.R.R. says:
lug 6, 2012
RispondiL’hanno prossimo sono zicuro di vinciere.
A parte gli scherzi, non ho parole. Complimenti agli Alieni, rimanete i migliori: fulgido esempio di rara libertà intellettuale.
Alfahridi says:
lug 24, 2012
RispondiCari Alieni,
questo commento come un misto di reprimenda, ringaziamento e sostegno.
Non è giusto scrivere di un libro avendone letto un terzo – ma che è poi un critico? Chi è?
Anni fa, sotto l’impulso stringente di tornare alla letteratura (di far uscire, in qualche modo, la passione dal cassetto facendole incontrare il resto del mondo) m’imposi di leggere i finalisti e/o vincitori dello Strega, per capire cosa succede in Italia (parlo ovviamente dell’editoria più che della letteratura). E lessi “la solitudine dei numeri primi”. Il mio esperimento finì al primo tentativo. Ci vuole coraggio e pazienza a leggere gli Strega – già un terzo è una gran prova di sopportazione.
Ora faccio come se non esistesse, lo Strega (altri, come Parente, ci scrivono costantemente contro, non so cosa sia meglio).
Insomma, adelante Alieni!
Lidia says:
ago 19, 2012
RispondiIo il libro l’ho letto tutto. Ma anch’io sono stata tentata di interrompere prima. Imbarazzante che abbia vinto un premio. Complimenti per la recensione. Non c’è da aggiungere altro.
Andrea Corona says:
ago 23, 2012
RispondiA proposito de “La solitudine dei numeri primi”, che sia un brutto libro lo dice anche Giulio Ferroni. Cito:
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“La vittoria «a sorpresa», per così dire, de La solitudine dei numeri primi (Mondadori) di Paolo Giordano al Premio Strega del 2008 ha costituito una sorta di apoteosi di quel mito dello scrittore «giovane» [...] qui la giovinezza si è presentata nella veste di una educata borghesia progressista, per giunta con pedigree scientifico e non senza la bella presenza del giovane dottorando in fisica, tutto condito e cucinato entro una famosa scuola di scrittura [...]. Il titolo del libro, frutto dell’acume della redazione mondadoriana, ha peraltro messo in evidenza l’orizzonte «scientifico» del giovane autore, suscitando universale compiacimento per l’avvenuto intreccio tra letteratura e scienza, facendo balenare negli acquirenti l’idea di trovarsi finalmente di fronte a quel doveroso, sempre invocato ma da noi raramente realizzato connubio: caspita! un dato matematico come principio strutturale di un romanzo, scritto per giunta da un giovane ricercatore!
In realtà, dopo i primi capitoli [...] il romanzo procede con una scrittura neutra e plastica, senza nessuna accensione, sostando nelle banali occasioni, tra prevedibili cattiverie e accartocciati desideri, dei giovani della media borghesia torinese. La scienza non c’entra nulla, non diventa in nessun modo principio di organizzazione del racconto; quella dei numeri primi è solo una generica metafora per connotare la solitudine dei due protagonisti. Il mondo che ci scorre davanti è di quelli che si sono visti tante volte, anche al cinema: mondo chiuso in se stesso, nelle abitudini di quella borghesia «buona», impegnata a guardarsi addosso, a considerare i propri scontati malesseri [...] senza nessuno sguardo al di fuori [...] con frequenti ricadute nella più disarmante banalità”. (Giulio Ferroni, Scritture a perdere. La letteratura negli anni Zero, pp. 41-44).
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A questo punto, cari Alieni, ho una domanda: che i vincitori dello Strega siano tutti così? Impegnati a guardardi addosso? Senza nessuno sguardo al di fuori? Con frequenti ricadute nella più disarmante banalità?