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un racconto breve di Raffaella Foresti

Quella che ho davanti agli occhi è una luce che non avevo mai visto.

È gialla e rossa e blu e verde. Si muove e sfuma i colori: sabbia rosata, foresta scura, caraibi. Si dice che danzi. Viene dalla terra e nella terra morirà. Chissà se lo sa, mentre punta i suoi folli raggi verso il cielo. Tende all’assoluto, vuole l’infinito.

È una luce calda come l’estate. Nel suo gioco mortale illumina le cose, che adesso esistono e brillano e sprigionano scintille e, poi, le nasconde per sempre.

Vorrei poterla guardare ancora, ma le palpebre spingono forte verso il basso. Gli occhi lacrimano. Il fumo, ora intenso, avvolge la camera da letto e cerca sfogo. Trova la porta socchiusa e snello penetra nel corridoio e poi nell’altra stanza, cucina con soggiorno. Lo seguo, portando con me la luce, che divampa alle mie spalle e vuole superarmi.

Sento calore ardente sulla pelle. C’è una finestra da cui potrei sporgermi e chiedere aiuto. Potrei cercare di salvarmi dalle fiamme buttandomi. Potrei proteggere la testa con le mani e tenere le ginocchia morbide, assorbire il colpo.

Penso che sarebbe un’opzione preferibile. Gli occhi non vogliono più aprirsi e mille spilli pungono in gola. Penso che non dovevo fumare a letto.

Sento grida che provengono dalla strada, sirene, porte abbattute, vetri infranti.

Non vi sbagliate sulle persone che si buttano dalle finestre in fiamme. Il loro terrore di cadere da una grande altezza è lo stesso che proveremmo voi o io se ci trovassimo davanti alla finestra per dare un’occhiata al paesaggio; cioè la paura di cadere rimane una costante. Qui la variabile è l’altro terrore, le fiamme del fuoco: quando le fiamme sono vicine, morire per una caduta diventa il meno terribile dei due terrori. Non è il desiderio di buttarsi; è il terrore delle fiamme”.*

* David Foster Wallace, Infinite Jest

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twitter@alienimetropoli
 
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Author: Raffaella Foresti

“Il cane odiava quella catena. Ma aveva una sua dignità. Quello che faceva era non tendere mai la catena del tutto. Non si allontanava mai nemmeno quel tanto da sentire che tirava. Nemmeno se arrivava il postino, o un rappresentante. Per dignità, il cane fingeva di aver scelto di stare entro quello spazio che guarda caso rientrava nella lunghezza della catena. Niente al di fuori di quello spazio lo interessava. Interesse zero. Perciò non si accorgeva mai della catena. Non la odiava. La catena. L'aveva privata della sua importanza. Forse non fingeva, forse aveva davvero scelto di restringere il suo mondo a quel piccolo cerchio. Aveva un potere tutto suo. Una vita intera legato a quella catena. Quanto volevo bene a quel maledetto cane “

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4 Comments

  1. Mi è piaciuto.

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  2. Anche a me. Hai pensato che portesti spostare la citazione e finire con un ironico “penso che non dovevo fumare a letto”? Brava

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    • @eloy: grazie, anche del suggerimento che mi pare azzeccatissimo.

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