Recensione di Yuri Rutigliano
La via del tabacco di Erskine Caldwell è un romanzo datato 1932. La via del tabacco, che da il titolo al libro, altro non è che uno dei molti sentieri tracciati dalle botti, piene di foglie di tabacco essiccate, che venivano fatte rotolare verso il fiume Savannah. E’ un romanzo di miseria sociale e umana che spesso, anche se non sempre, vanno di pari passo. La storia si svolge nel profondo sud, in una Georgia arida quasi disumana, e racconta le vicende dei Lester, una famiglia contadina caduta in miseria. Sullo sfondo c’è la probabile colpevole di questa miseria: la grande crisi. Probabile colpevole, di sicuro non unica, perché il capo famiglia Jeeter si ostina (solo a parole) a voler coltivare il proprio terreno a cotone, rifiutandosi categoricamente di andare in fabbrica. Questa scelta insensata porta tutta la famiglia Lester a vivere in una bestiale povertà, lasciando il lettore perplesso se questo stato gretto e miserrimo sia causa o conseguenza.
Dalla famiglia oltre all’accidiosa figura di Jeeter, emerge la moglia Ada che aspira ad un vestito nuovo da indossare alla morte e la nonna una specie di fantasma indifferente a tutti, alla continua ricerca di cibo che morirà di una morte assurda e più assurda la reazione dei famigliari. Impossibile non parlare dei figli (che ricordano il figlio mostruoso di Gene Morgan de Il bastardo). Con Jeeter sono rimasti Dude il figlio chiaramente scemo che sposa Bessie una mezza mignotta ma predicatrice con un naso mangiato ed Ellie May più animale domestico che ragazza sfigurata da un labbro leporino. Tramite Lov arrivano notizie anche di un’altra figlia dei Lester, la piccola Pearl che venduta al marito si rifiuta di assolvere ai doveri coniugali. Tutti gli altri figli se ne sono scappati via, da una casa che cade a pezzi e da un padre sfaccendato e non vogliono più saperne della famiglia di origine.
La miseria di questa famiglia è descritta con crudo realismo da Caldwell che uccide senza mezzi termini il sogno americano, attirandosi le ire dei benpensanti e, non a caso, i suoi libri furono censurati più volte. Non solo è messo a nudo il sogno americano ma anche il sistema sociale che fa arricchire a dismisura alcuni e morire di fame tanti altri. Eh, i corsi e i ricorsi storici. La letteratura americana ci ha abituato agli eroi perdenti, a quei personaggi fascinosi che conducendo vite anticonformiste non possono non suscitare empatia con il lettore. Non è il caso di Caldwell. Non c’è niente di piacevole in Jeeter e nella sua testardaggine. Anzi. Si avverte la miseria morale del personaggio, il suo patetico “stare come Dio vuole stia”. Si prova quasi odio per Jeeter. Viene quasi da urlargli addosso “e che cazzo, vai a lavorare in fabbrica e lascia perdere ogni velleità di coltivare il tuo campo”. Invece no, lui sogna l’odore della terra, costringendo i famigliari all’indigenza o a mangiare rape verminose.
Il linguaggio di Calwell è crudo, asciutto con dialoghi incalzanti e di stile terribilmente moderno. La stessa crudezza la ritroviamo nei personaggi, nella storia. Una storia così drammaticamente reale da sembrale insensata.
Due curiosità.
Prima: Caldwell diventò leggenda con la stessa velocità con la quale entrò nel dimenticatoio e da quello che mi è dato di capire, in Italia, non lo pubblica nessuno. E, personalmente, lo ritengo un grande peccato.
Seconda: La via del tabacco ottenne una grande successo anche nella sua trasposizione teatrale. John Ford ne ha fatto anche un film nel 1941. Dal mio punto di vista il racconto originale viene completamente snaturato e, quello che è un drammatico racconto di povertà e miseria, viene rivisto in chiave di commedia. Questa è la mia opinione. Se proprio dovete/volete vedere un film di John Ford avete solo l’imbarazzo della scelta.