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La Domenica delle passioni perse

da Daniele Di Maglie a R.B.

Edward Hopper – House by Railroad – 1925

Il sole entrò dalle persiane. L’odore del sugo impregnava i muri. Era domenica. Lo capì sentendo le campane e i passi felpati della madre: “svegliaa!! Sveeegliaaaaa!!”.
Dalla strada si levavano voci e nelle chiese incominciavano ad adunarsi le famiglie.
“Sbrigati che fai tardi”.
“Oggi non voglio andare” disse.
“Come! Hai la comunione tra meno di un mese, devi spicciarti”. ”No”.
…
Gli occhi fissavano il latte nella tazza.
Grumi di cioccolato aspettavano di essere franti. Mescolati. E senza dar peso alle parole femminee di quella, Danny girava assorto il cucchiaio osservando e respirando intensamente il vapore caldo che saliva alle narici. Le polpette nel sugo. Le voci. La tv dava un concerto di Bach. Sentiva i gabbiani sulle case.
Lo stagno.
Aveva da andare allo stagno. Altro che messa.
L’aveva scoperto grazie a un amico. Si era procurato un retino che aveva nascosto dietro ad un cespuglio, insieme a un secchio. Aveva dieci anni.
“Sbrigati, tra cinque minuti comincia”.
“No” ripeté.
Non ci voleva andare, non insistette.
Finì il latte e prese il libro, la penna, il quaderno, come tutte le domeniche. Diede un bacio alla madre prima di uscire.
“Non fare tardi”.
“Certo, non preoccuparti”.
Le voci, le campane, i motorini. Lo sapeva che nonostante tutto avrebbe fatto una scelta. Non c’era da discutere.
“Non ti fermare con quello. Tu sai a chi mi riferisco. Lo sai. Suo padre è un poco di buono. Picchia la moglie. Stai attento. Stai attento alle macchine”.
Girato l’angolo iniziò a correre.
“Quello” lo aspettava una manciata di metri più avanti, vestito come un pescatore, col berretto sugli occhi e gli stivali di gomma.
Frisco era il suo nome.

Frisco. Come in un film americano.
Suo padre era pescatore. Puzzava di pesce. Tutta la famiglia puzzava di pesce.
“Andiamo”, disse.
“Hai preso tutto?”.
“Sì, non preoccuparti: sega, martello, chiodi, corda, spago. Tutto”.
“Bene”.
Parlava di luoghi misteriosi e di strani animali palmati.
Diceva che suo zio aveva addestrato una gazza una volta, insegnandole a parlare. Non frequentava il catechismo. Era due anni più grande, un ragazzo intelligente, senza nessuna voglia di studiare.
Sempre in bilico tra collegio e altre strutture minorili. I servizi sociali.
“Un delinquente”. Così diceva sua madre: “Stai lontano da quello, suo padre è un poco di buono, credimi. È stato in carcere. Lo sai”.
A scuola, in effetti, lo vedevano poco o niente, e i compagni, si fa per dire, lo prendevano in giro per via dei vestiti e dell’odore cattivo.
Passava il tempo a giocare in discarica a cercare tesori, oppure allo stagno dove stava costruendo una zattera. Aveva convinto Danny a dargli una mano: il progetto era catturare tritoni. Diceva che c’erano tritoni là dentro.
Era domenica.
Mentre attraversavano i portici temeva potesse incontrare suo padre che a quell’ora usciva a giocare la schedina. Piegarono lateralmente, allungando non poco, con la scusa che Danny doveva vedere una ragazza. I campanili suonavano piuttosto allegramente. Non c’era nessuna ragazza. Lui ancora non ci pensava alle ragazze, ma gli sembrò un argomento valido per entrare nelle grazie di quello. Non gli importava granché delle voci che circolavano in giro: mica le diceva solo sua madre certe cattiverie, era il quartiere alle volte ad essere cattivo con le persone.
Lo sapeva.
Anche lui all’inizio tendeva ad evitarlo. Aveva paura. Gliel’avevano messa addosso “loro”, quella paura. Poi s’incontrarono per caso in discarica, un pomeriggio, e si misero a cercare pietre al quarzo, diventando amici.
Stravedeva per lui.
Voleva stare con lui quell’estate, andare con lui a caccia di tritoni e lucertole, a scoprire tesori e mondi nascosti, costruire una capanna vicino allo stagno e un ormeggio per la zattera e altre cose.
Domenica.
Stava andando allo stagno col suo amico segreto e non voleva essere visto. Non voleva essere scoperto.
La gente entrava nelle chiese. Le bancarelle vendevano noccioline e olive con la calce. I bambini appesi ai loro palloncini guardavano le rondini disegnare cerchi nel cielo, sotto cirri frastagliati e bianchi come schiuma di mare.
L’aria frizzante.
L’aria frizzante come un bicchiere di spuma, annunciava l’estate: stava arrivando. Lunghi giorni di siepi e alveari senza la scuola e senza le chiacchiere stupide dei compagni o delle maestre. Senza l’obbligo di andare a letto dopo il telegiornale. Senza i compiti, le visite comandate. Lo stagno. Le colline. Le rane. Lo stavano aspettando.
Salirono sulle dune e lo videro. Finalmente.
Lo videro.
Si perdeva a vista d’occhio. Sembrava un lago. Le canne ricoprivano interamente le sponde occidentali e anatre e altri uccelli si levarono in volo improvvisi, richiamando l’attenzione.
Un branco di cani si allertò, tranquillizzandosi dopo che quello fece alcuni cenni precisi con la mano e uno di loro, presumibilmente il capo, si avvicinò a coda bassa, strisciando sul ventre in segno di sottomissione.
Sapeva fare molte cose.
Difficile pensare che quel paradiso nascondesse gli scavi di un centro commerciale il cui progetto era stato abbandonato dopo che furono spesi dei soldi. Tanti, a sentire quel diavolo. Un mucchio di soldi. Gliel’aveva raccontata suo padre la storia, ch’era stato coinvolto in diversi momenti del progetto. Così diceva. Per aprire una pescheria, in cambio di alcuni favori non chiari.
Difficile immaginare cosa sarebbe divenuto quel posto tra negozi, macellerie e ampi parcheggi attrezzati. Fece un certo scalpore, anni fa, la notizia. Deboli ricordi affiorarono alla mente, confusi.
Promesse di posti di lavoro, appalti.
Tutto finì sui giornali e nelle aule dei tribunali, e la natura riuscì a coprire tutto, a sommergere tutto con l’acqua e le canne, il muschio, le ninfee. In poco tempo aveva imposto un assetto nuovo al paesaggio, trasformandolo a dispetto delle ingordigie umane.
Si era formato due anni fa, diceva quel diavolo.
Quel diavolo di un amico.
“Mi ricordo che piovve per una settimana intera: qui c’erano solo scavi e lamiere e macchine rubate”.
Danny raccolse il retino ed il secchio, dietro un cespuglio: quello due grosse pedane di legno, una borsa piena di attrezzi e un telo cerato che doveva servire per creare un’imbottitura di sotto. Poi legarono saldamente le pedane e rinforzarono il tutto con travi rivestite di pece e ceralacca. Conosceva a menadito ogni passaggio, ogni dettaglio. Aveva anche procurato e disposto alcuni innaffiatoi di plastica che sarebbero stati usati come galleggianti.
In poco meno di un’ora terminarono il lavoro con una certa soddisfazione. Soprattutto Danny era felice.
Domenica.
Mentre tiravano in acqua l’imbarcazione pensava a sua madre, ai compagni, alla faccia bianca dell’insegnante di catechismo. Alla sua voce monotona, monocorde. E il respiro diventò tremulo, impreciso. Aveva trasgredito. Aveva mentito. Lo sentiva dentro, il rammarico, il senso di colpa. Aveva dieci anni, mica il doppio. Come tutti i suoi coetanei risentiva di un certo condizionamento sociale. Subiva il giudizio degli altri. Pur avendo accettato per amico uno stigma, un poco di buono, un ragazzo inappropriato che tutti biasimavano per la famiglia e le attitudini violente del padre, perché abitava in una baracca sul porto, rifiutava la scuola e non aveva amici.
Se ne stava tutto solo a bighellonare giorno e notte, coltivando sogni segreti e misteriosi che Danny scoprì sorprendenti, tanto da amare ascoltarlo mentre si prodigava in racconti di umana sopravvivenza o si fermava a curiosare, ad esempio, l’incolonnamento delle formiche, tirando fuori aneddoti straordinari sul loro comportamento o su altre strampalate abitudini.
Era fantastico. Parlava di mondi fantastici.
Diceva che per fortuna c’era la natura, le campagne, le colline e altre cose mirabolanti per cui vale la pena di esistere.
“Gli alberi servono agli uccelli per farci il nido. Agli scoiattoli, alle formiche, ai cervi volanti. Alle api”.
Sua madre dicevano fosse una povera donna che aveva messo al mondo sei figli perché non sapeva rifiutare il marito. Non riusciva a lasciarlo, subendolo come una minaccia costante. Una serranda chiusa. La picchiava, ogni sera. Così arrivarono quelli del comune a portarsi via i bambini. Molto presto. Tutti.
Tutti tranne Frisco, capace di uscire dalla spirale mettendo a dura prova le meccaniche istituzionali e i loro sistemi di controllo.
Per questo amava le colline. Il suo amico.
Il suo eroe.
Il sole si alzava sul canneto dove gracidavano i rospi. Non doveva pensarci. Era domenica.
Doveva infischiarsene del catechismo o di quello che avrebbe detto sua madre, o del fatto che probabilmente la messa era finita.
Certo.
Doveva gustarsi l’avventura, adesso. Salire sulla zattera. Lasciarsi andare alle deboli correnti, al tepore festoso di quella mattina insieme al suo amico. Domenica della vita, preludio a un grande lunedì.
Dieci anni. Dieci anni soltanto, questo pensava. Solo dieci anni. E la vita davanti. Uno stagno da attraversare.
Iniziarono a spingere. Ecco. Finalmente.
L’imbarcazione teneva, era stabile, galleggiando sulle increspature, lasciandosi andare docilmente sopra filamenti vegetali e larve di libellula e zanzare. Tra milioni di moscerini e milioni d’insetti indecifrabili, milioni di bollicine nell’acqua putrida e scura. Sotto un cielo rigoglioso e gonfio di promesse
I cani di prima si erano avvicinati alla riva, con un guaito. Salutando. Risposero altri cani da altri posti, mentre il sole puntava a mezzogiorno e probabilmente era finita l’ora del catechismo. Restava poco tempo. Sentiva le campane.
Ancora per poco.
Tra una mezz’ora circa, sua madre, avrebbe apparecchiato la tavola.
Era domenica. Domenica mattina.
Tra un mese la comunione, l’estate. Poteva venirci tutte le mattine allo stagno, tra un mese.
Ora suo padre stava rincasando, col giornale sotto il braccio e la schedina in tasca.
Ora i motorini saettavano per le vie del quartiere. Gli edicolanti chiudevano. Improvvisamente le strade incominciarono a svuotarsi.
Improvvisamente.
Che stava combinando il padre di Frisco?
Era ubriaco? Era al porto a giocare a carte?
Guardò quello negli occhi, evitando di dire alcunché.
“C’è qualcosa”, disse.
“Cosa”.
“Non si vede bene. Là, tra le canne”.
Si avvicinarono, lentamente. Un mucchio di stracci. Un divano. No. Un animale. Il corpo di un animale.
No.
Un uomo.
Si trattava di un uomo.
Un uomo morto.
Anatre e cornacchie si alzarono in volo, rumoreggiando. I cirri si addensarono sulle loro teste, mutando per riflesso il colore dell’acqua, del cielo, della vegetazione.
I cani di prima tornarono ad abbaiare.
“Un morto!” gridò Frisco, “un morto!”.
La sua voce rimbalzò sulla superficie dello stagno come un sasso scagliato di sguincio.
Un morto!
Un morto!
Accidenti! Un corpo annegato in quella radiosa domenica. Chi sarà mai?, pensò Danny, mentre vide l’amico coprirsi il volto con le mani.
Eccolo suo padre. Ecco dov’era.
Forse era stanco.
Forse nei guai fino al collo, chissà. Forse l’avevano ucciso.
Era morto.
E l’estate di Frisco finì prima ancora di cominciare.
Frisco il Bello. Puzza di pesce. Frisco il solitario. Il bullo. Il pescatore.
Frisco l’addestratore di cani. Il malandrino. Costruttore di zattere e scopritore di caverne e rifugi.
Non si videro più.
Mai più.
Danny tornò a casa riabbracciando i genitori, nel pomeriggio, sporco di fango.
Si giustificò, raccontando di essere stato allo stagno dopo il catechismo, con alcuni amici. Era lì che avevano trovato il cadavere del porco. Così lo chiamavano. Avevano avvertito la polizia.
Che altro avrebbero potuto fare?
“Poverino, poverino”, diceva sua madre, “c’era pure il figlio? Dimmi: c’era pure il figlio?”.
“No”.
Era domenica.
Cominciavano le partite. Da qualche parte, nascosto, il suo amico segreto piangeva. L’odore del sugo impregnava i muri. Più tardi. Lo scampanellio del passaggio a livello, le voci… le campane. I motorini.
Tutti appresero la notizia.
Il porco era morto. Il porco era morto.
Il quartiere tornò a brulicare.

___

Un racconto scritto e proposto da Daniele Di Maglie

Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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