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La Vita Oscena – Aldo Nove

Recensione di Marco La Terra

 

Devo riconoscere che l’approccio a La Vita oscena di Aldo Nove, edito da Einaudi a un prezzo esorbitante (€ 15.50, quando capolavori come Delitto e castigo, Moby Dick o Guerra e Pace, di qualità e spessore non paragonabili, vengono oramai svenduti) ha subito suscitato in me un moto di profonda antipatia, proprio in virtù di questa prima constatazione.

Certo, l’evidente scissione tra logica di mercato e qualità di un’opera non è colpa del Sig. Nove che, al pari della stragrande maggioranza degli scrittori moderni, ha ottenuto lodi e successo sulla base di un talento che, due secoli orsono o anche solo un secolo addietro, non avrebbe garantito all’autore la nomea di scrittore.

Quanto sopra, ovviamente, è solo la mia opinione.

Dato atto che l’Autore non ha responsabilità alcuna se un irrazionale moto di antipatia ha condizionato il mio acquisto de La vita oscena, ne ho iniziato la lettura sforzandomi di approcciarlo con la miglior predisposizione d’animo possibile.

Devo ammettere di averne assimilato tutto d’un fiato i contenuti, sia perché la voragine dell’osceno, sempre più profonda e inesorabile, mi ha spinto a voler proseguire per vedere sin dove il nostro eroe avrebbe osato avventurarsi (personalmente, ritenevo che il top fosse stato raggiunto con un rapporto sessuale di gruppo, rigorosamente omosessuale e feticista, orchestrato da una donna pagata ad hoc, ma mi sbagliavo) sia perché 111 pagine, articolate in capitoli molto brevi, non richiedono più di un paio d’ore di lettura.

La mia impressione dunque?

Se dovessi rispondere d’istinto, direi che esistono almeno un centinaio di alternative più proficue in cui investire i vostri quindici e rotti euro; ponendomi entro un contesto più asettico, direi che l’opera è stata decisamente

sopravvalutata.

Intendiamoci: La vita oscena è un romanzo autobiografico, per questa peculiarità encomiabile e meritevole di apprezzamento.

Questo per dire che, sotto il profilo umano, rispetto ciò ho letto, e devo riconoscere che il contesto emotivo, ossia l’epidermica sensazione di sofferenza che permea l’intero iter narrativo, coinvolge davvero il lettore.

Da recensore, però, sono costretto a ragionare in maniera differente, considerando il valore dell’opera in sé, sotto il profilo stilistico e letterario: il pregio de La vita oscena, descritto poc’anzi, è sufficiente per indurmi a consigliarvene l’acquisto?

Decisamente, direi di no.

Per quella che è stata la mia esperienza, posso dire che, prima facie, titolo e contenuti possono anche intrigare e stimolare la curiosità ma, alla fine, potrebbe sorgere nel lettore la convinzione di essere di fronte a un protoromanzo, uno scritto abbozzato, incompleto, in itinere.

Una sensazione di fastidioso disagio, nell’insieme.

Come quella nata nell’animo di chi vi scrive.

Alcuni critici hanno sottoposto La vita oscena a una lettura di secondo livello, affermando che la bestialità, toccata e vissuta dal protagonista, riflette lo scadimento sociale e l’assenza di etica nella quale è oramai scivolata l’epoca moderna.

Una sorta di affresco originale dei nostri tempi, insomma.

Per quanto non sia assolutamente d’accordo con un’interpretazione del genere credo che, qualora risultasse oggettivamente fondata, nemmeno questa seconda lettura riuscirebbe a “salvare” l’opera, sotto il profilo della credibilità letteraria: nella prospettiva proposta emozioni e sensazioni, originali perché intime e ‘primitive’, verrebbero intrecciate fra loro per giungere a una conclusione intrisa di demagogia, banale, quasi scontata.

Preso atto che l’acqua bolle a cento gradi, meglio trincerarsi nel proprio mondo e scrivere un’opera che parli di se stessi e della prospettiva intimistica della realtà, senza cercare di ergersi a censori di un mondo le cui brutture, per molti versi, hanno assunto un valore e una potenza oggettivi, costanti, immobili.

A prescindere dalla propria inclinazione al suicidio, fisico o spirituale che sia.

Ignoro quali fossero le reali intenzioni dell’Autore nel momento in cui ha deciso di dedicarsi a un’opera soggettivamente difficile come La vita oscena ma, volendo attribuire un minimo di credibilità letteraria all’opera in sé, voglio pensare che il suo pensiero fosse scevro da qualsivoglia intento demagogico e qualunquista: semplicemente parlare di sé, della propria esistenza e delle emozioni assimilate grazie al filtro di una memoria finalmente lucida, pacata e distaccata.

Onore al Nove – uomo, pertanto.

Quanto al Nove – scrittore, ripassate dai miei colleghi: sarete più fortunati, forse.

___

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twitter@alienimetropoli
 
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Author: Marco La Terra

Marco La Terra, classe 1977, vive il senso di alienità dell’epoca infausta in cui è recluso in modo viscerale e sofferente, cercando di rintracciare in tutto ciò che è “altro da sé” una forma spuria di logica superiore.

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2 Comments

  1. “Una sensazione di fastidioso disagio, nell’insieme.
    Come quella nata nell’animo di chi vi scrive.”

    Lei ha perfettamente ragione: ed è proprio in questo assunto che sta la risoluzione alle sue perplessità. La lingua di Nove nella Vita Oscena è quanto di più intimistico ci sia, riflette alla perfezione gli sconvolgimenti emotivi che il protagonista-autore si è trovato a provare nel corso della sua vita. E questa idea che ci sia qualcosa che manca, qualcosa di vuoto, di trascurato, di fastidioso è così vivida nelle parole da risultare reale.
    La vita di Nove, autore e protagonista, è permeata da questa sensazione di “fastidioso disagio” così come la sua scrittura – ribadisco, ha perfettamente ragione. Ma a questo punto credo sia intelligente chiedersi – e al massimo disquisire – se sia un pregio o un difetto, quello di plasmare la lingua seguendo il profilo della realtà e viceversa.

    Pacifico ha ragione, quando dice che la critica di oggi tende verso il campo delle riflessioni superficiali. Non si offenda, la prego. Intendo che si evita di “scandagliare” il prodotto e lo si recensisce in maniera sterile, senza dare alcun tipo di risoluzione, senza alcun consiglio che possa far crescere l’autore. Mi lasci dire anche che trincerarsi dietro “il proprio personalissimo parere” non la esenta dalle responsabilità morali che si trascina dietro questo modus operandi.

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  2. @Luigi: può darsi ma l’esperienza insegna – e probabilmente è la stessa conclusione a cui è arrivato Nove – che il principio del rasoio di Occam è spesso una regola corretta ed applicabile. Superficiale non significa necessariamente parziale. Se la vita ormai è solo superficie è giusto “scandagliarla” per quello che è. Aggiungo inoltre che critica e recensione sono due cose fondamentalmente differenti ma rimango del parere che mai queste due debbano influenzare la letteratura. Alla sua domanda se sia un pregio o un difetto plasmare la lingua la lascio col punto interrogativo rifiutando un giudizio assoluto di giusto o sbagliato ma le parole, al pari dei volti, mutano di fronte alla realtà. Un caro saluto

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