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V. – Thomas Pynchon

Recensione di Marco La Terra

Questo romanzo di Pynchon, pietra miliare della letteratura postmoderna, ruota intorno ad un concetto che tutto domina, tutto ammanta, tutto codifica: un concetto che s’insinua nei pensieri, nelle cose, entro le catene di ogni ragionamento.

V.

Tante V.

Il disegno che controlla e codifica ogni movimento.

Lo scopo, medio o ultimo, dell’esistenza.

C’è in effetti un tratto che accomuna questi concetti impalpabili, una piccola uguaglianza, quel quid che ognuno di noi, nel corso della propria vita, cerca disperatamente.

Lo scopo della propria esistenza, il fine ultimo, a volte talmente desiderato e irraggiungibile da fondersi, e sfumarsi, con il concetto di vita stessa.

Tutti i personaggi di questo romanzo, incredibile e vertiginoso, vanno cercando una ragione sensata per andare avanti, per far seguire un tramonto a un’alba, e così via, indefinitamente: Profane il grasso, lo schlemihl che, guarda caso, riesce sempre a cavarsela, la banda dei Morbosi e tutte le loro conoscenze (da Rachel a Roony, da Paola a Pappy Hod).

Tutti personaggi che, pur calati in contesti e situazioni piuttosto disparate ed eterogenee, vengono ‘legati’ l’uno all’altro grazie all’incredibile abilità stilistica di Pynchon: a partire dalla ricerca di Stencil, quella V. misteriosa, la prima V. che tutto racchiude, fino ad arrivare a Godolphin, a Porpentine, a Firenze, al Cairo.
V. non può definirsi un libro ma un mondo a sé stante: si trattasse di un semplice romanzo, la trama si sarebbe articolata in maniera tutto sommato canonica, attraverso l’interazione dei protagonisti, per giungere ad una fine, una morale, un epilogo. Invece non vi è ordine in V., nel senso canonico del termine: tutto è promiscuo, casuale, dominato dal caos, intriso di cose esistenti solo nel mondo vero, nella vita reale. Per quanto la realtà non passi attraverso le parole dell’Autore, ma risulti plasmata da queste, e descritta col tono di chi non intende lasciarsi sfuggire l’occasione per denunciare il degrado toccato dal mondo.

È facile perdersi entro le dinamiche che caratterizzano le vicende di tutti questi personaggi, le storie, i flashback e i ritorni: un’altalena incostante, caotica, a tratti pericolosa. Senza dubbio, in qualche punto la prosa risulta ostica, ambigua e di difficile comprensione ma, se si riesce a progredire, alla fine giungerà un senso di appagamento profondo ed intenso, raro e significativo.
Del resto, la scrittura di Pynchon è un vortice violento che trascina il lettore per ore, giorni, che lo fa soffrire, appassionare, soffrire, ridere insieme ai suoi personaggi.

Come i protagonisti, anche il lettore si vedrà proiettato nell’eterna ricerca di V., questo tutto dominante, questa risposta universale allo scopo ultimo della vita, sia esso di basso, medio o alto profilo.

Un viaggio lungo, intenso e affascinante.

Unico.

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Author: Marco La Terra

Marco La Terra, classe 1977, vive il senso di alienità dell’epoca infausta in cui è recluso in modo viscerale e sofferente, cercando di rintracciare in tutto ciò che è “altro da sé” una forma spuria di logica superiore.

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