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La più grande balena morta della Lombardia – Aldo Nove

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Recensione di Raffaella Foresti

Dopo aver letto Gara di resistenza di Emidio Clementi, di cui un giorno o l’altro vi parlerò, non è facile prendere in mano La più grande balena morta della Lombardia di Aldo Nove. Dopo le prime due storie (giacché di una raccolta di racconti si tratta) mi è venuta voglia di scagliare il bel libretto azzurro e giallo firmato Einaudi Stile Libero, pagato dodici euro e cinquanta, ben lontano dal raggio d’azione dei miei interessi.

L’istinto di emulare Randy Barnes (imbattuto recordman statunitense di getto del peso) mi è passato quando ho iniziato a leggere il terzo racconto, dal titolo Sardegna Sardegna. Contiene ritratti di personaggi e minuscoli ricordi del bambino narratore in quel di Orisei, entroterra sardo, provincia di Oristano. In questo racconto, così come in altri a seguire, per lo più ambientati a Viggiù, Aldo Nove riesce nell’intento di rendere il mondo degli anni Settanta con gli occhi di un (sè?) bambino: l’omino della Bialetti, l’arresto di Enzo Tortora, gli sceneggiati televisivi, il lato A e il lato B del disco dei Rockets, i cattolici e i comunisti… e molti altri gadget dell’epoca.

Belli gli accenti che Aldo Nove mette sugli eventi, tenera la sensibilità dell’autore verso l’infanzia, geniali a tratti le considerazioni del protagonista, che restituisce la serietà a situazioni a cui i grandi non danno importanza e ridicolizza, come è giusto che sia, i loro inutili pregiudizi.

Come dire, umanamente lo apprezzo perché è un libro che può dare molto da questo punto di vista. Il problema, qui, è letterario.

Conoscete il “principio dello zio Charles”? Viene chiamata così una particolare tecnica narrativa usata da James Joyce nel romanzo A Portrait of the Artist as a Young Man (Ritratto dell’artista da giovane, meglio conosciuto come Dedalus). Ad un certo punto della storia, Joyce scrive: Every morning, therefore, uncle Charles repaired to this outhouse…”. Per l’uso del verbo “to repaire” Joyce, pensate un po’, venne aspramente criticato. Perché usare “reparired” invece del più moderno “went”? Perché “repaire”, rispose Joyce, è esattamente la parola che lo zio Charles avrebbe usato.

In pratica si tratta di una narrazione in terza persona dove il narratore esterno assume in qualche modo la conoscenza e la personalità  del personaggio narrato, fino ad essere condizionato anche nella scelta lessicale.

Ne La più grande balena morta della Lombardia siamo ben lontani da questa geniale trovata letteraria. Leggere centosettanta pagine di errori grammaticali, coniugazioni verbali scorrette e sintassi inappropriate… perdonatemi, ma non si può affrontare.

Il narratore è un bambino che, logicamente e giustamente, parla e pensa come un bambino. Ma il punto è che questo bambino scrive.

Promuovo la sperimentazione, boccio il risultato.

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Author: Raffaella Foresti

“Il cane odiava quella catena. Ma aveva una sua dignità. Quello che faceva era non tendere mai la catena del tutto. Non si allontanava mai nemmeno quel tanto da sentire che tirava. Nemmeno se arrivava il postino, o un rappresentante. Per dignità, il cane fingeva di aver scelto di stare entro quello spazio che guarda caso rientrava nella lunghezza della catena. Niente al di fuori di quello spazio lo interessava. Interesse zero. Perciò non si accorgeva mai della catena. Non la odiava. La catena. L'aveva privata della sua importanza. Forse non fingeva, forse aveva davvero scelto di restringere il suo mondo a quel piccolo cerchio. Aveva un potere tutto suo. Una vita intera legato a quella catena. Quanto volevo bene a quel maledetto cane “

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2 Comments

  1. bella anche questa. e non perchè sia geneticamente di parte, anzi.

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  2. Bella recensione, equilibrata eppure piena del tuo pensiero. Purtroppo non conosco neppure questo libro di Aldo Nove, a questo punto mi avete incuriosito.

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