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Il sogno di Dersu Uzala

Racconto scritto e proposto da Mario Genocchio

 

Il vecchio cacciatore Dersu Uzala sentiva la stanchezza pesargli sulle palpebre.

Aveva vagato tutto il giorno per la foresta, cosi, senza particolare voglia di cacciare, gli piaceva camminare per i sentieri che solo lui poteva vedere, seguiva le tracce della sua preda, la avvistava, puntava il fucile, prendeva accuratamente la mira… Poi sussurrava “oggi non ho tanta fame” e disarmando il suo vecchio archibugio, con un unico colpo in canna, salutava a volte una renna, a volte un orso, con un confidenziale “ciao ci rivediamo un altro giorno”.

Si accovacciò ai piedi del Grande Albero, ormai erano vecchi amici, quel luogo lo faceva sentire bene, al sicuro, sapeva che nessun animale o altro avrebbe potuto rappresentare un pericolo, lì, ai piedi del Grande Albero che lo proteggeva un po’ come se fosse il grembo materno.

Spesso in quel luogo riviveva, nei sogni, gli anni della sua giovinezza, di quel periodo in cui la sua natura panteista era ancora latente, di quando viveva nelle citta dell’uomo.

D’improvviso una profonda spossatezza lo avvolse, facendolo scivolare lentamente nel magico mondo dei sogni.

Rivide così la sua donna, le aveva voluto bene con sincerità e lealtà, ma ora provava per lei un sentimento di affetto fraterno. Non avrebbe voluto lasciarla, ma si era innamorato di una donna giovane, dalla sensualità incommensurabile: si sentiva proiettato verso la felicità, ma al tempo stesso era afflitto da una sensazione di tristezza.

Lei lo aspettava, la sua figura aleggiava sopra di lui come un fantasma, guardandolo e trafiggendolo con occhi grandi, tristi e intimi.

Aveva ormai preso la sua decisione: si avviò per la nuova strada e proprio in quell’istante si trasformò in una grande tigre maschio.

Si sentiva forte, di una potenza non umana, e cominciò a correre per raggiungerla al più presto: la gente lo guardava con stupore, ma senza paura.

Questo lo infastidiva: non voleva fare del male a nessuno, ma pensava che le persone, alla vista di una grande tigre quale era, in mezzo a loro, come minimo sarebbero dovute scappare in preda al panico.

Avvinto da un naturale senso di rivalsa, emise un verso potente che terrorizzò e fece scappare tutta la gente, fino a poco prima dimentica della sua presenza.

Si sentì soddisfatto di questa sua impennata di orgoglio ma proprio in quel momento prese coscienza che sarebbe rimasto per sempre una tigre, che non sarebbe mai più tornato uomo.

Pensò a lei che lo aspettava, che lo aspettava uomo, pensò a lei che non avrebbe mai potuto amare ed il cuore si lacerò.

Un dolore indescrivibile lo avvinse, si accasciò sull’erba e iniziò un pianto infinito, dirotto: il cervello sembrava scoppiargli nello sforzo di trovare una soluzione per poterla amare.

Pochi attimi prima correva verso quello che pensava rappresentasse la felicità, verso quegli occhi grandi, intimi e a questo pensiero il suo dolore crebbe d’intensità, il suo pianto divenne sempre più straziante, le sue lacrime un fiume, il suo dolore non più sopportabile.

E desiderò morire.

Un leggerissimo fruscìo, impercettibile ai sensi di un uomo comune, fu invece rilevato dallo straordinario udito di Derzu Uzala che ai piedi del Grande Albero, lentamente socchiuse gli occhi con lo sguardo rivolto all’esatta direzione di quel lieve rumore.

A pochi metri l’enorme testa di una magnifica femmina di tigre siberiana lo fissava con quei suoi occhi maestosi.

Derzu Uzala non pensò nemmeno per un istante di imbracciare il suo vecchio archibugio: quella vista non gli provocava la minima paura.

Guardò a sua volta gli occhi della tigre, fisso e tenace: dopo pochi secondi la regina della Taiga, senza il minimo rumore si dileguò tra gli abeti rossi ed i larici.

Mario Genocchio 

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Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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