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L’Incanto del Lotto 49 (The Crying of Lot 49)

Buongiorno a tutti. Vi ringrazio di aver atteso così a lungo. Siete numerosi vedo! Molto bene.

Prima di iniziare questa chiacchierata spero piacevole permettete un sincero avvertimento. Qui si parla di Thomas Pynchon, ed è bene guardarci in faccia e dircelo subito: non è cosa per tutti. Persino i lettori forti vacillano e crollano di fronte a questo scrittore. E un motivo c’è (ahi-loro).

Prendiamo come esempio il suo secondo romanzo, uscito negli Stati Uniti nel 1965: L’Incanto del Lotto 49 (The Crying of Lot 49).

E’ un romanzo, e dunque ci sono dei personaggi. Naturalmente. Eroi e antieroi tra il Bene ed il Male? No, la  protagonista è una certa Oedipa Maas, una casalinga laureata in letteratura inglese. Quindi? Artisti maledetti dalla profondità sconvolgente? Non direi. A meno che vi accontentiate del marito di Oedipa, Wendell “Mucho” Maas, che fa il dj in una radio locale, o dell’avvocato Metzger, che da bambino era un attore molto famoso, conosciuto come Baby Igor. Beh, allora questi personaggi potrebbero essere gente comune, persone qualsiasi, con cui il lettore s’identifica. Sì, potrebbe. Potrebbe se qualcuno di voi, almeno una volta, fosse stato nominato esecutore testamentario di un milionario/a che è anche un vostro ex, come accade alla protagonista. O se con un oo-op foste partiti come un pipistrello dall’inferno a bordo di un trimarano di cinque metri e venti battezzato Godzilla II, possibilmente cantando sulle note di Adeste Fideles. O se nel tempo libero tipicamente vi dilettaste nel frequentare membri allucinati di un gruppo musicale emergente, più suonati dei loro strumenti. Se non avete mai fatto nessuna di queste cose e, soprattutto, se non vi siete mai trovati all’interno di una storia di spionaggio fitta di mistero avente a che fare con un’organizzazione segreta collegata ad un servizio postale alternativo, è molto probabile che non v’identificherete nei personaggi di questo romanzo.

Ma non è detto. Se foste in giro per L.A. in cerca di un posto dove sistemarvi per alcuni giorni, dove andreste? “Oedipa decise di fermarsi al primo motel che avesse visto, per orrido che fosse, perché ad un certo punto l’immobilità e le quattro pareti le erano sembrate preferibili a quell’illusione di velocità, libertà, vento nei capelli, srotolarsi del paesaggio – che era falsa”.

Già.

Passiamo alla trama. Un mistero da risolvere, dove tutti gli indizi compaiono sempre al momento giusto. Immaginate di compiere un’indagine. Siete lì che state ragionando su una certa cosa che non vi quadra ed ecco il primo indizio, bell’e pronto per voi. Poi decidete di fare qualcos’altro, e vi imbattete nel secondo. La sera stessa andate a divertirvi in un locale e ad un certo punto dovrete andare in bagno, per forza. Ed ecco, sulla porta della toilette, l’indizio successivo. E così via, tassello dopo tassello. In questa trama quasi quasi sono gli indizi ad inseguirvi, e non il contrario. Dunque? Qual è il problema? Si arriverà prima alla soluzione finale. E invece no. A quanto pare il mistero non si risolve. Non lo potete risolvere. Che vi sia sfuggito qualche dettaglio? Che non lo sappia nemmeno Pynchon? Siete confusi?

Dovete esserlo! Non c’è modo di risalire ai fatti, a meno che si segua una correlazione accidentale.

Sappiatelo.

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una recensione di Raffaella Foresti
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Twitter@alienimetropoli 

 

Author: Raffaella Foresti

“Il cane odiava quella catena. Ma aveva una sua dignità. Quello che faceva era non tendere mai la catena del tutto. Non si allontanava mai nemmeno quel tanto da sentire che tirava. Nemmeno se arrivava il postino, o un rappresentante. Per dignità, il cane fingeva di aver scelto di stare entro quello spazio che guarda caso rientrava nella lunghezza della catena. Niente al di fuori di quello spazio lo interessava. Interesse zero. Perciò non si accorgeva mai della catena. Non la odiava. La catena. L'aveva privata della sua importanza. Forse non fingeva, forse aveva davvero scelto di restringere il suo mondo a quel piccolo cerchio. Aveva un potere tutto suo. Una vita intera legato a quella catena. Quanto volevo bene a quel maledetto cane “

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