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Recensione di Emanuele Mannocci

Da sempre “Brave new world” e “1984″ si contendono il grand prix della distopia postmoderna e nonostante ci consideriamo protagonisti di una mise en scène orwelliana, non subiamo affatto inconsapevoli macchinazioni, inganni, deprivazioni; viviamo invero in un mondo nuovo iperreale, sovrinformato, sommerso dal superfluo e congelato in un’inerzia iperveloce.

Nelle solide memorie in espansione programmata verso exabyte e petahertz, gli opposti diventano iperboli, la presenza non trova più un contrario nell’assenza ma nello sdoppiamento, il pieno nella saturazione, la sessualità nella pornografia, il movimento non è più opposto all’immobilità ma all’accelerazione. L’odierna comunicazione istantanea, l’azzeramento delle distanze, hanno portato al coma del reale, unendo partenza e arrivo, noumeno e fenomeno, creando oggi di eterna apparenza destoricizzati e disinteressati del futuro. Una realtà inerte che, raggiunta la velocità luce e persa la sua massa, diviene fotogramma, una Pompei pietrificata in un fermo immagine catastrofico che lento cede, immemore, al ritmo di catastrofi minori.

Non vi è più crescita quindi, ma escrescenza, non più muscolatura bensì obesità. Le città si deformano vittime di elefantiasi che le costringono alla verticalità, poiché affini a un John Merrick da baraccone, la posizione orizzontale le soffoca, le uccide, non più nella privacy di un letto ma in diretta televisiva; live-streaming diremmo oggi.

“Più visibile del visibile, tale è l’osceno”, è il leitmotiv de “Le strategie fatali”. È osceno ciò che ha troppo senso stretto, troppo spazio ampio, che scompare nel banale e viene trasfigurato dalla velocità. È oscena la politica fattasi nuda, trasparente, non più res pubblica ma res derelicta; la guerra totale, immaginaria, resa spettrale dalla minaccia atomica; è osceno il cittadino sublimato in ostaggio, una res nullius sottostante a ricatti di oggetti, terroristi e contratti economici e sociali; oscena è la modernità mondana, ripresa dal grandangolo sociale e proiettata a tutto schermo fra narrazioni sovraesposte; è fatalmente osceno il dominio dell’oggettività sulla soggettività, del visibile estatico sull’invisibile interno all’individuo.

In questa inerzia frenetica Baudrillard esorta a trovare il punto morto nella rotta della storia, la spiaggia dove si è arenata e conclusa, spinge a rianimarla, buttarla a mare e cambiarne la rotta, prima che imploda non nel botto atomico ma nel feedback acustico dell’istante dentro l’istante dentro l’istante dentro l”””””””””””””

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