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Recensione di Carlotta Susca

 

Ora, voi giovinastri volete un nome nuovo per la vostra generazione? O forse no, volete solo trovarvi un lavoro, giusto? Be’, i media vi fanno un grandissimo favore a chiamarvi Generazione X, vero o no? Giusto a due lettere dalla fine dell’alfabeto. E dunque io ora vi battezzo Generazione A e vi dichiaro all’inizio di una serie di trionfi e fallimenti spettacolari, allo stesso modo di Adamo ed Eva tanti anni fa. (Kurt Vonnegut)

 

Dopo aver cercato di definire la Generazione X, Douglas Coupland trae spunto dal discorso di Kurt Vonnegut a una classe di laureandi per raccontare la condizione di una nuova fascia della popolazione: non più quella del babyboom, ma quella degli interconnessi giovinastri che tutto possono comunicare simultaneamente ma senza avere, in fin dei conti, molto da dire. E se intitolare un libro a una generazione farebbe pensare a un saggio sociologico, ecco che invece la chiave per la descrizione della realtà passa attraverso la distorsione: un futuro distopico (solo una proiezione delle tendenze attuali) in cui le api sono scomparse, e la vegetazione è di conseguenza impollinata manualmente. L’esistenza di un farmaco che annulla la paura del futuro e che favorisce il solipsismo completa il quadro, accanto a una più diffusa e pervasiva interconnessione in Rete.

I cinque personaggi che danno voce  e aspetto all’umanità brulicante in questo scenario sono variamente sbandati e problematici: punti da cinque api in quattro diversi continenti diventano cavie da laboratorio per isolare le componenti chimiche in grado di attrarre i rimpianti insetti impollinatori (ma la spiegazione finale non convince, e la conclusione è debole), per poi essere condotti in un unico, isolato, luogo.

Qui il racconto separato e parallelo delle rispettive vicende cede il posto all’affabulazione narrativa: Zack, Samantha, Julien, Diana e Harij devono raccontare storie inventate, che inevitabilmente cominciano a fondersi e a convergere e a rappresentare, ancora una volta, in maniera distorta la realtà.

Raccontano di puristi del linguaggio sopraffatti dalla (0MUni(@zi0n& dei tempi digitali, di umanità come riserva alimentare per alieni, che trovano più saporiti i lettori (e il genere umano si salva con la Rete, che inibirebbe la lettura di libri), di semplificazione dei tratti, che rende tutti dei cartoni animati (vale la pena di dire che dagli occidentali Harij, per comodità, è chiamato Apu, come il gestore del Jet Market dei Simpson). I giudizi sul mondo della comunicazione sembrano poco condivisibili, ma spesso Coupland affida la morale dei singoli racconti allo stravolgimento ironico, al capovolgimento provocatorio.

Costanti nel libro sono la ricerca di ogni personaggio di una propria storia e la tendenza, che le vicende ironicamente

avvalorano, a sentirsi tutti unici e speciali, destinati a qualcosa di grande: tendenza che viene liquidata come retaggio adolescenziale e ingenuo, e che ci porta tutti a riflettere e a ridimensionare l’estensione nel mondo del nostro ego.

Se la lettura inizialmente porta a considerare il titolo solo un artificio di marketing, ci sono invece, nei personaggi, numerosi tratti che definiscono la generazione nata dopo gli anni Ottanta: non più X, speranzosa di essere A, ma sempre più convinta di essere Omega: sola, priva di ruolo, e con l’unica illusoria consolazione di poter, un giorno, salvare il mondo.

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[email protected] / twitter@alienimetropoli