invia il tuo racconto inedito

Saul Bellow – La Resa dei Conti

Recensione di Andrea Corona


Il critico Tommaso Pisanti ha scritto: «Saul Bellow ha magistralmente analizzato il vario disagio dell’individuo nella dimensione urbana moderna: ma con un senso, insieme, di umorosità picaresca capace di ritagliare imprevedibili avventure nel cuore stesso dell’alienazione metropolitana». Non poteva sfuggire alla Corrente degli Alieni Metropolitani, dunque, un romanzo come La resa dei conti, impietosa storia di uno scacco, di un fallimento, sullo sfondo della metropoli per antonomasia, New York.

«New York: la fine del mondo». Così il protagonista di questa (dis)avventura, il quarantaquattrenne Tommy Wilhelm, uomo in crisi che decide senza motivo apparente di lasciare moglie e lavoro, considera la sua città. Città che, anzi, non sente neanche più ‘sua’, soprattutto da quando, abbandonato il tetto coniugale, si ritrova a osservarla da una finestra dell’Hotel Gloriana di Broadway, dove soggiorna col padre: «No, papà, non sono le pillole. È che non sono più abituato a New York. Per uno che c’è nato è abbastanza strano, no? Qui c’è troppa confusione, papà. M’innervosisce». Nel dialogo con suo padre, il facoltoso e vanaglorioso dottor Adler, emergono molti elementi della vita di Tommy Wilhelm e di quella degli abitanti di New York, una città in cui nessuno è chi dice di essere e che riflette un mondo altrettanto corrotto dalla smania del mostrare e del mostrarsi, della recita e dell’esibizione.

A cominciare dallo stesso Wilky Adler, che si ostina ancora a farsi chiamare Tommy Wilhelm, nome d’arte risalente a un errore di giovinezza (il primo di una serie di sbagli che l’accompagneranno per tutta la vita e che apprendiamo dai numerosi flashback del romanzo), quando lasciò il college per tentare la carriera di attore a Hollywood, dove non otterrà più di una comparsata in un film di basso livello. «Quando si comincia a fare l’attore non si è più una persona come le altre»: questa frase, pronunciata allora da Maurice Venice (un personaggio che userà la “Kaskakia Films” per coprire una rete di ragazze squillo), vale anche per il signor Tamkin, il personaggio più interessante del romanzo, un vecchio mitomane anch’egli ospite dell’Hotel Gloriana. L’ipnotico Tamkin, «il perturbatore dell’immaginazione», che spinge il già squattrinato Wilhelm a delegargli una procura di settecento dollari e a giocare in Borsa facendogli acquistare delle azioni di lardo.

A mio giudizio, La resa di conti, pubblicato nel 1956, deve molto a Morte di un commesso viaggiatore, il dramma del 1949 di Arthur Miller di cui costituisce quasi un remake, se paragoniamo i nomi dei due protagonisti (Willy e Wilky/Wilhelm), i loro lavori (o meglio ex lavori), le loro famiglie (entrambi hanno moglie e due figli ma andranno via di casa), le loro amanti (anche Wilhelm, come Willy, aveva un’amante, Olive) l’ambientazione (New York/Broadway, dove il dramma fu rappresentato e dove sorge l’Hotel Gloriana), il requiem finale (entrambe le opere si chiudono con un funerale) e, non ultime, la critica al materialismo e al “sogno americano”.

Ma questo romanzo ricorda soprattutto i personaggi e lo stile di Bernard Malamud e Philip Roth (per il quale rimando a questo speciale), gli altri “massimalisti” della narrativa ebraico-americana. La scrittura di Bellow, che pure abbonda di riferimenti alla psicanalisi, tende a scandagliare ogni recesso dell’animo umano, per vedere oltre la maschera della persona e giungere alla sua ombra (si ricordi che il termine “persona” designava originariamente la maschera degli attori). Come ha scritto Viviana Vivarelli nel suo saggio su Jung dal titolo Lo specchio più chiaro: «Ognuno di noi è una molteplicità di elementi, è come un teatro con tanti attori o un condominio con tanti abitanti». O come un hotel di Broadway, magari.

___

Andrea Corona

 

Author: Andrea Corona

Andrea Corona (Napoli 1982) lavora in campo editoriale. Saggista, è autore di scritti filosofici e letterari pubblicati in volume e su rivista. Per gli Alieni scrive racconti, recensioni e saggi brevi.

Share This Post On
  • Google

7 Comments

  1. Saul Bellow = E. I. Lonoff?

    Post a Reply
  2. Ma è Bellow privo di originalità, o soltanto questo romanzo? Scusa, ma non conosco questo autore, anche se mia ha sempre incuriosito. Grazie :)
    Silvana

    Post a Reply
  3. Ciao Silvana, grazie innanzitutto per essere intervenuta. Sono felice di rispondere alla tua domanda, che mi permette anche di aggiungere alcune considerazioni supplementari. Dunque, mi sento innanzitutto di dire che questo romanzo è tutt’altro che privo di originalità: è vero, nella recensione ho evidenziato le analogie con altre opere e altri autori, ma l’ho fatto proprio per fornire dei parametri e dei riferimenti a quanti, come te, conoscono Bellow solo di nome (ma io stesso ho letto solo due suoi romanzi; l’altro è “Herzog”). Ciò detto, credo che il personaggio di Tommy Wilhelm sia originale nella sua ambiguità, nel senso che non è certo il classico eroe, ma non è neppure un autentico “Christus patiens” che soffre senza meritarlo (penso alla letteratura russa, ma anche, ad esempio, al dannunziano Giovanni Episcopo); ciò in quanto la psiche di Tommy Wilhelm è così frastagliata (come, del resto, la sua storia personale) da non lasciare intendere, fino alla fine, quanto e se le sue sventure siano ingiuste o meritate e quanto la sua percezione della realtà sia effettivamente aderente ad essa (i dialoghi col padre e soprattutto col Signor Tamkin sono sempre molto intriganti perché giocano tanto su queste ambiguità).

    Un’altra considerazione che aggiungerei, sempre in accordo alla precedente, è relativa alla struttura ‘drammatica’ del romanzo: se nella tragedia greca il destino colpisce chi è innocente (non c’è colpa in Edipo, ancor prima che in Giobbe, e Tommy Wilhelm ha un che dell’uno e dell’altro), nell’estetica moderna domina la regola opposta della “giustizia poetica” (per cui il destino punisce sempre per una colpa – e qui sarebbe interessante paragonare il ‘romanzo confessione’ otto-novecentesco alla confessione classica, agostiniana, per il quale la confessione cela sempre una colpa). In quale caso siamo ci troviamo con Bellow? Difficile dirlo, anche perché, del resto, la confusione è uno degli “attanti” (cioè delle funzioni narrative – si vedano la Fortuna, la Provvidenza, ecc) che vengono manifestati dagli “attori” (cioè i personaggi veri e propri della narrazione) di questo romanzo.

    Quindi, direi che la scrittura di Bellow, e le sue storie, sono contraddistinti da una grande originalità. Queste almeno sono state le mie personali impressioni. Silvana, spero che la mia risposta ti abbia soddisfatto. Non mi resta che ringraziarti ancora e invitarti a continuare a seguirci.

    Post a Reply
  4. Grazie Andrea, sei stato più che esaustivo. Leggerti è sempre molto istruttivo oltre che piacevole. Ogni volta che ho questo piacere qualcosa dentro di me si dilata e si espande, tanto che ho la sensazione che voglia esondare fuori dal mio corpo fisico. Niente di più piacevole!
    un abbraccio e ancora grazie :)

    Post a Reply
  5. Troppo buona! Grazie a te :)
    Alla prossima, dunque!

    Post a Reply
  6. Apprezzabile recensione. Aggiungerei che pochi romanzi (peraltro così brevi) hanno saputo trattare il rapporto padre/figlio con la sensibilità ben tenuta sotto controllo di Bellow.

    Post a Reply

Submit a Comment

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *