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Happy Hour

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Racconto breve di Raffaella Foresti

 

É una fredda sera d’inverno e ci sono Futuro e Congiuntivo in quel bar.

Congiuntivo si gode l’happy hour con un cocktail giallo dalle sfumature rosse, decorato con grappoli di ribes e fette d’arancia, granella di mandorle e zucchero. Come una diva sorride e saluta qua e là i presenti. Non beve. Congiuntivo tiene il bicchiere in una mano e lo rigira di tanto in tanto, come si fa con un bicchiere di rosso d’annata.

Fuori scende la neve.

Futuro ha già cenato. Se ne sta seduto in un angolo e non parla con nessuno. Fa solo sì con la testa, ogni tanto, quando qualcuno gli chiede: “è libera questa sedia?” prima di portarsela via. Beve rhum, forse chiaro. Da lontano non si capisce.

Una dopo l’altra, le poltroncine intorno al suo tavolo si riempiono di borse, sciarpe e cappotti.

Congiuntivo è special guest della serata e si dedica alle pubbliche relazioni. La gente se lo contende furiosamente e lui si concede, gira da un tavolo all’altro e ammicca qua e là come fanno le spose al pranzo del loro matrimonio. Di tanto in tanto sente delle fitte allo stomaco, ma cerca di non farle notare. É il suo momento, il Grande Ritorno. É l’ospite d’onore della serata, e non vuole rovinare tutto facendo la figura del moribondo.

Se ne convince ancor più quando intravede vede Futuro, solo al suo tavolo, con la faccia dentro il rhum. “Ehi, amico, come va?”. Futuro alza la testa, e risponde con un rutto.

Non si frequentano ma sono come fratelli. Si rispettano.

Con un movimento sciolto ed elegante Congiuntivo libera una poltroncina e va a sedersi davanti all’amico.

“Futuro – gli dice piano – so che non è un buon momento, ma devi reagire”. “Vaffanculo stronzo”, si sente rispondere.

Congiuntivo non si arrende: “Credo che non ti faccia bene bere così tanto. Metti il cappotto e aspettami all’uscita. Troverò una scusa per andarmene”.

“Vattene tu” gli risponde. “E lasciami in pace. Io non ho più niente da perdere”.

“Si tratta di Ella, vero?”

“Si tratta di Tutti. Mi hanno dimenticato, sto scomparendo, tra poco non esisterò più. E ora levati dalle palle. Sei una puttana peggio di Ella”.

“Futuro…”

“Oh, mi scusi Signor Congiuntivo… che tu sia una puttana peggio di Ella non v’è alcun dubbio… Così va bene? Preferisci così? Fuori dalle palle”

“E va bene prenditela con me, sfogati. Ma questo non ti aiuterà, e non farà tornare Ella, che era l’unica che…”.

“L’unica che mi sopportava? No. Era l’unica che capiva. Ma ora anche lei si è arresa. Lo sai cosa mi ha detto l’ultima volta? Mi ha detto “ci vediamo”, ecco. “Lo so” le ho risposto “c’è ancora luce”. Allora si è voltata, ha preso la borsa e ha detto “ti chiamo”. Capisci? Indicativo presente. Se non voleva chiamarmi subito doveva dire “ti chiamerò”… Invece mi ha lasciato così, senza nessuna speranza…

Gli occhi di Futuro si riempiono di lacrime. Congiuntivo gli butta il cappotto sulle spalle e lo accompagna fuori, e poi fin sotto casa.

“Fanculo all’aperitivo. Dio che liberazione… Senti Futuro, tu hai ragione ma devi cercare di reagire” gli dice per consolarlo. “É un’epoca così. La gente preferisce il Presente perché al domani non vuol pensare. Forse perché ha paura. Comunque se ci pensi bene va peggio a me, che sono tornato di moda per esser convocato nei luoghi e nei tempi più impropri… Ci sono persino comitati costituiti intorno al motto “Salviamo il Congiuntivo!” Ma lo sai quant’è umiliante? Era meglio quando mi ignoravano…”.

 

I due camminano nella neve, le mani in tasca, uno accanto all’altro.

“Senti”, riprende Congiuntivo, “andiamocene via, partiamo per un viaggio. Lasciamo questo posto”.

Futuro lo guarda negli occhi: “Non sei niente male tu. Ci sto. E voialtri andate tutti al diavolo. Non vi abbiamo raccontato questa storia per impietosirvi. Non ci serve la vostra compassione. Non abbiamo bisogno di nessuno. Quando per voi tutto starà per finire noi saremo già lontani, al largo, su una barca a vela sospinta dal vento”.

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Author: Raffaella Foresti

“Il cane odiava quella catena. Ma aveva una sua dignità. Quello che faceva era non tendere mai la catena del tutto. Non si allontanava mai nemmeno quel tanto da sentire che tirava. Nemmeno se arrivava il postino, o un rappresentante. Per dignità, il cane fingeva di aver scelto di stare entro quello spazio che guarda caso rientrava nella lunghezza della catena. Niente al di fuori di quello spazio lo interessava. Interesse zero. Perciò non si accorgeva mai della catena. Non la odiava. La catena. L'aveva privata della sua importanza. Forse non fingeva, forse aveva davvero scelto di restringere il suo mondo a quel piccolo cerchio. Aveva un potere tutto suo. Una vita intera legato a quella catena. Quanto volevo bene a quel maledetto cane “

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1 Comment

  1. complimenti per l’idea e per la stesura. mi sembra che sia questo, un buon metodo per scrivere un racconto breve.

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