Recensione di Ilaria Bonfanti
“Ti farò vedere io appena scendo. E io non scenderò mai più. E mantenne la parola.”
Anche io su Calvino mantengo una parola, o meglio, un’idea fissa che si concretizza in un termine ben preciso, un aggettivo: geniale.
Italo Calvino è geniale e, quando ti capita la fortuna di riprendere in mano dopo anni uno dei suoi testi ne hai la conferma.
Ritornare su “Il Barone Rampante” con una consapevolezza adulta e con un’attenzione più scrupolosa, mi ha permesso di cogliere i piccoli regali che lo scrittore dissemina pagina dopo pagina; di capire l’ironia sottile di un libro che sfugge a una definizione ben precisa. Un libro destinato a ragazzi che, se da adolescente mi ha portata ad appassionarmi alla lettura, da adulta è stato in grado di ricordarmi il motivo per cui continuo a leggere con la stessa passione di quando ho cominciato.
Lo scrittore, per mezzo del Conte Biagio, ci racconta le avventure del Barone Cosimo Piovasco di Rondò che sale su un albero e decide di non scendere più.
Personalmente, e quando si tratta di Calvino non posso esimermi dal mettere tutta me stessa nel giudizio, trovo incredibile come dalla sola immagine di un ragazzino su un albero, l’autore sia riuscito a dar vita a un romanzo tutt’altro che facile e banale.
Facile è, piuttosto, divorare questo libro dall’inizio alla fine, come da piccoli si era fatto con grandi classici della Letteratura come il Don Chisciotte, le varie avventure di Salgari, spaziando da Sandokan ai corsari o, come Alice.
Quello che riesce a creare Calvino, per rimanere in tema, è un paese delle meraviglie, pieno di campi sconfinati e alberi da frutto dove, quando ci ritorni da “grande” non fai altro che assaporarne le verdure che da adolescente non avevi colto.
Da sempre quando mi cimento in una nuova lettura spero di scovare tra le pagine una storia appassionante, un mondo magico che mi occupi la testa quando mi alzo la mattina, mentre sono in macchina, un’avventura che mi accompagni mentre sono in coda in posta.
Italo Calvino ci riesce sempre e, anche questa volta, non si è smentito.
Al lavoro, tra un laboratorio e l’altro, mi scoprivo intenta a pensare al romanzo; mi tormentavo chiedendomi che faccia avesse la Generalessa Corradina, se Cosimo avrebbe rivisto l’amata Viola D’Ondariva e se sarebbe mai sceso da quella dannata pianta.
Ancora adesso, mentre scrivo questa recensione, sorrido al pensiero di Battista, sorella del protagonista, sempre intenta a cucinare pietanze con ingredienti disgustosi e a suo marito: il Contino D’Estomac.
Geniale. Appunto.
Ed eccomi giunta alla fine del secondo capitolo di una trilogia che, per l’ennesima volta, mi ha lasciata piacevolmente senza parole.
Le parole, mi pare ovvio, in questo come in mille altri casi, le lascio a Calvino, alieno a questo mondo e postmoderno per eccellenza.
___
15 marzo 2012
mi fa molto piacere leggere questa recensione. io adoro Calvino. Ho letto quasi tutta la sua produzione. Confrontandomi, all’epoca, con altri lettori, i più non pensavano che Il barone rampante fosse tra i migliori. E io ho continuato a cercare qualcuno che la pensasse diversamente. Calvino è l’autore italiano più americano che conosca ed è stato un grande sperimentatore.
Tornando a Il barone rampante vogliamo parlare del gioco di parole nel titolo? Rampante? che in italiano ha un senso diverso, ma venendo dal francese s’intende: che si arrampica. Grande trovata.
Concludo con una frase alla Holden Caulfield:
– un ragazzo che sale su un albero e non scende più per tutta la vita? da lasciarti secco -.
15 marzo 2012
Bello il recupero di questi romanzi di Calvino! A volte sono considerati troppo scolastici per essere letti o riletti. Peccato, sono un tesoro prezioso per la nostra lingua, e non dovremmo lasciarlo impolverare nelle biblioteche
17 marzo 2012
Grazie mille ragazzi! Concordo con voi in tutto!
Al prossimo Calvino!!!!
17 marzo 2012
*in toto