Racconto scritto e proposto da J.G.Sapodilla
Gloria e George
George attraversa la strada con aria infastidita e perplessa, due lunghe gambe femminili e la brunetta a cui appartengono, gli occupano la vetrina del suo negozio di libri, e così per dare uno sguardo alle novità letterarie dovrà aspettare che l’intrusa se ne vada. Prova a lanciarle sguardi minacciosi e intimidatori riflessi dalla vetrina. Le gambe della brunetta non sono male. I piedi forse un poco grandi, chi sa per quale motivo si pretende che le brunette alte abbiano i piedi piccoli come cinesine. Il sedere le riempie tutta la gonna, ma non sembra abbastanza rotondo. La brunetta non pare spaventata, ma piuttosto presa dai libri esposti, non si muove dalla vetrina anzi si porta un dito alle labbra con fare dubbioso e piega leggera una gamba. Ha polpacci robusti quasi da atleta, ma la gamba nel complesso può continuare a essere definita elegante. La giacca a quadretti le sta stretta sulle spalle, potrebbe essere una appassionata di nuoto. Altro per ora non si vede, nel complesso la figura è gradevole, niente grasso eccessivo. A sorpresa la brunetta si volta, schiude le labbra appena troppo larghe, spalanca gli occhioni neri, china un poco la testa di lato e gli sorride interrogativa, mostrando due file di coralli bianchi.
− Se crede di fare lo squalo con me, avrà vita dura. − Pensa George.
Lei insiste a sorridere tra il compatito e l’ironico.
Il suo seno è teso e alto sotto la camicetta, ma potrebbe essere merito del reggiseno. La brunetta si avvia con un dondolio impercettibile e George pensa che finalmente può godersi la sua vetrina di libri, ma la brunetta è piena di sorprese, prima di scendere il gradino del marciapiede per andare dall’altra parte si volta ancora a guardarlo. George sa quando deve cambiare idea, e qualcosa gli dice che negli ultimi tempi ha lasciato troppo spazio ai libri nella sua vita.
La brunetta passa da un marciapiedi all’altro a ogni gradino fa un saltello da bambina che gioca e non bada al resto del mondo. Porta i capelli raccolti dietro e questo le lascia scoperte due deliziose orecchie di color bianco e rosa, passa davanti a una vetrina di moda, si ferma a guardare una camicetta di pizzo bianco. George colto di sorpresa fa un giravolta con indifferenza e si ferma a qualche distanza.. Lei continua a godersi la sua camicetta di pizzo bianco e si porta ancora il dito dubbioso sulle labbra. Le dita sono affusolate, le unghie smaltate di rosso lucente. George decide che può perdonarle questo vezzo del dito alle labbra.
La brunetta si riavvia con aria malinconica. George sa quando una cosa deve essere decisa, entra nel negozio e ne esce con una piccola scatola rettangolare. Accidenti non immaginava che le camicette di pizzo costassero tanto, ecco perché le donne sono sempre così nervose e scontente. Con aria irrequieta George scruta l’orizzonte, la fortuna aiuta gli audaci, la brunetta è in vista Si prosegue. Lei ora entra in un portone ma prima si è voltata a lanciargli un lungo sguardo.
− Quale è il tuo gioco bambola?− pensa George disgustato − Forse ora mi chiederai i soldi per compare le medicine alla povera zia malata?
La brunetta apre il cancello in ferro battuto dell’ascensore e rimane in attesa di George entrato nel portone.
− Dove andiamo?− Chiede un George ormai pronto a tutto.
− All’ultimo piano naturalmente.
George ha un tamburo nello stomaco.
Ultimo piano. E’ il piano del tetto, non ci sono porte di appartamenti. I due si fronteggiano, la brunetta gli prende decisa la scatola rettangolare.
− Perché mi tremano le dita?− pensa George mentre la scatola gli scivola via.
− Non so se è la misura giusta.
− Siamo qui per provarla.
La brunetta si toglie la giacca a quadretti e glie la allunga. Poi si sfila la maglietta con l’ippopotamo rosa e la mette sul braccio di George sopra la giacca. Il reggiseno nero non sembra avere problemi particolari con la brunetta, le sue spalle sono larghe al naturale non ci sono spalline nella giacca, si vedono le scapole in risalto. Le braccia sono tornite morbide eleganti, i gomiti sono un poco ruvidi forse le piace tenerli appoggiati a un tavolo. Le mani promettono giardini di delizie: bianche sul dorso, il palmo appena sfumato di rosa, le lunghe dita morbide e tenere. La brunetta ha finito di spogliarsi e apre la scatola, lasciando George un poco deluso ma tutto sommato soddisfatto di come si mettono le cosa. Lei indossa la camicetta nuova e mette la sua maglietta nella scatola, fa una giravolta e lancia la scatola, che George afferra al volo con qualche incertezza per la difficoltà di guardare lei e la scatola allo stesso tempo. La brunetta riapre la porta dell’ascensore all’ultimo piano. I due escono. Accade l’incredibile. La brunetta volta le spalle a George, si solleva la gonna, si china e si abbassa le mutande rosa.
− Guardare ma non toccare − dice lei decisa.
Le mutande sono lunghe al ginocchio e ricamate, tipo Pellegrina del Mayflower. George è in preda all’incantesimo, capisce che la gonna aderente le appiattiva ingiustamente il sedere.
− Dio mio, è tondo come il sole − pensa.
Quanto alle cosce, George non ricorda pollastra che ne avesse di migliori.
I due ora sono sul portone. La brunetta si avvia fuori ma ordina a George di rimanere dov’è con l’indice minaccioso.
− Mi chiamo Gloria, ho un negozio di tappeti e un marito.
− Potremo presentargli mia moglie, mi chiamo George.
J G Sapodilla
Sigarette
Il Pelè del Nilo palleggia goffo nel cortile sotto la finestra di Alina al terzo piano.
−Andiamo, Ahmed, passa quella palla, vogliamo giocare anche noi.
E’ il cortile dei giochi e dei sogni.
Le persiane di Alina si sono aperte. Si sente la voce della giovane donna.
− Ahmed, sali su.
Ahmed si libera del pallone, è una rondine che infila di corsa le scale e vola fino alla porta di Alina.
− Vieni dentro Ahmed.
Alina apre la vestaglia dai verdi ricami e infila la mano nelle mutandine di pizzo nere.
−Ti piacciono le ragazzine, Ahmed?
Ahmed ansima per la corsa, la domanda lo infastidisce, non vuole essere distratto dall’incanto delle cosce di Alina, bianche come la panna montata sul sorbetto. Cosa nascondono le mutandine nere? avrà mai il coraggio di chiedere ad Alina di lasciarlo esplorare nell’ignoto. Forse ha paura.
− Le ragazzine sono stupide.
Alina ha tirato fuori un piccolo rotolo di banconote. La mano di Ahmed prende la banconota col ritratto del Gran Pascià, ma la testa oscilla per guardare dietro la mano di Alina prima che la vestaglia si richiuda.
Un giorno Ahmed torna con le sigarette, le consegna, aspetta che Alina gli appoggi le mani sulle spalle fino alla porta e poi lo sfiori con una carezza prima che ridiscenda in cortile.
Ma stavolta Alina non si muove, rimane nella stanza, lo fissa con occhi grandi e strani, si sfila le mutandine e glie le porge.
−Tienile. Io mi sposo domani. Vado in Arabia Saudita. Non potrò più fumare.
Sigaro Avana
Mi ero fermato solo per accendere il sigaro nel modo giusto, ma la ragazza non lo poteva sapere, aveva pensato che l’avessi vista nascosta dietro la siepe e mi era venuta incontro. La sua valigia nera sfondata aveva trascinato la ragazza e il suo vestitino corto color giallo canarino fino allo sportello della mia limousine scoperta.
− Portami dove ti pare aveva detto.
Mentre saliva le avevo guardato i fianchi. Lei aveva sorriso contenta.
− Mi chiamo Maria.
Una pioggia improvvisa mi aveva trasformato in un pesce bollito. Il caldo faceva evaporare le gocce che rimbalzavano sulla strada. Le moto si erano fermate sotto i ponti. La ragazza aveva cominciato a cantare una storia di banane fritte nello sciroppo di zucchero.
− Siamo arrivati al distributore di benzina. Puoi fare quello che ti pare per dieci minuti. − Le avevo aperto lo sportello senza scendere.
− Devi spegnere il sigaro. − Mi rispose. E prese con sé la valigia, perché voleva cambiarsi. Mi ero messo il sigaro spento nel taschino della camicia, con cura, prima di scendere davanti alla pompa. Dopo il pieno di benzina, avevo riacceso il sigaro e mi avviavo verso il bar in cerca della ragazza, quando la vidi uscire. Ma non era sola, due tipi uscivano con lei, il primo le teneva un braccio, l’altro portava la valigia. Entrai nel bar per bere qualcosa col ghiaccio.
Il barista raccontava a tutti di nuovo la storia: i due tipi della centrale di polizia si fermavano sempre a mangiare qualcosa a quest’ora, il loro piatto preferito erano le salsicce arrosto con patate e birra fredda. Uno dei due aveva visto il rigagnolo denso rosso scuro che usciva dalla valigia. Lei molto gentile aveva spiegato che era suo marito fatto a pezzi. Aveva detto che era scesa alla fermata dell’autobus nella strada per seppellire la valigia nei campi, ma faceva caldo e prima voleva rinfrescarsi.
Poi il barista mi aveva osservato con sospetto.
− Ehi, signore, deve spegnere il sigaro, qui dentro non si può fumare.
___
J.G.Sapodilla