Dai racconti di Ilaria Bonfanti
Nessuno ti può salvare Jacqueline.
Jacqueline Uvetta cercava qualcuno che la salvasse, da una vita o, semplicemente per una vita intera. Jacqueline Uvetta era sicura ci fosse qualcuno, nascosto dietro tazze di latte e cereali che, questa volta, l’avrebbe salvata davvero. Lei, lo pensa ancora.
Nessuno ti può salvare Jacqueline.
Impossibile farglielo entrare in testa; impossibile far prendere alla sua testa una direzione diversa.
Ci sono giorni in cui il peso delle emozioni passate dilania la pelle; come raffiche di vento su ferite aperte i ricordi sembrano usare il corpo di Jacqueline come rampe di uno skatepark: compiono evoluzioni su bmx logore di cadute eppure, di nuovo, lei sembra avere la stupida convinzione che qualcuno la verrà a salvare.
Tiene sempre scatole di cereali in dispensa, Jacqueline e, litri di latte pronti per l’occasione: lei, che il latte non lo può bere. Lei che è intollerante quasi quanto nei confronti della vita.
Malgrado ciò, si ripete da anni, prima o poi qualcuno verrà a salvarla da tutto questo schifo, dal marcio che vede sotto e sopra la neve, da se stessa.
Nessuno ti può salvare Jacqueline.
Jacqueline prova a mettere le calze color senape, a bardarsi in cappotti caldi e consapevoli, a scegliere borse capienti in grado di contenere anche un po’ di quel dolore che le pesa sulle spalle. Non si può dire che non le tenti tutte la piccola J. ma niente è così difficile come smettere di ricordare.
Le piace la ghiaia, le piace il silenzio, le piace credere che se giri l’angolo puoi trovare casette di marzapane come quelle dei fratelli grimm. Le piace mischiare la realtà con le storie, quelle belle davvero, non quei surrogati che i ragazzini si raccontano sul tram prima di andare a scuola.
Le piace vivere la vita che non vivi realmente; le piace sostenere che una favola valga più di cento serate in locali cittadini. Lei è così, importa poco se nessuno riesce a andarne a capo e a girare pagina.
Lei sa che qualcuno capirà, giusto nell’intervallo di tempo che serve per portarla lontano; lontano dagli anni passati, lontano dal presente senza emozioni, lontano dai giorni spesi a chiedersi cosa ci sia d’altro, se non quelle storie scritte su carta.
Come tutti i mercoledì sera, Jacqueline aveva appuntamento col Dolore. Mr. Pain la aspettava al solito pub dell’angolo con un paio di birre in mano e quell’odore inglese di patatine, fritte per l’occorrenza. Occorrenza suona bene, non fosse che non c’era niente per cui suonare qualcosa.
Figuriamoci poi, se ce n’era una aliena da fritti e olio bollente, era quella fastidiosa ragazza indaffarata a scaldare uvetta biologica nel fornetto di casa.
“Ciao J.”
“Ciao”
“come stai?”
“bene. Senti risparmiamo i convenevoli; ho un favore da chiederti. Devi presentarmi una persona”
“chi?”
“il Passato”
“non posso”
“non fare lo stronzo. Sai che mi devi più di un favore Pain. Ah, voglio vederlo da sola. Tu non devi esserci, le cose sono già abbastanza complicate”.
“dannazione. Come è che non riesco mai a dirti di no J.?”
“Vaffanculo”.
Quando incontri il Passato tutto attorno smette di fare rumore, le persone diventano scenari di un vecchio film e le immagini ritornano vivide come se il tempo non fosse mai trascorso.
Quando incontri il Passato incontri, di nuovo, la persona che eri e che non hai mai smesso di essere.
Quando incontri il passato lo stomaco si chiude e dimentichi la razionalità sul bancone del bar.
Lui arrivò puntuale una mattina in cui Lei nemmeno lo aspettava: il Passato è così: non rispetta i momenti più opportuni, ti colpisce nella massima puntualità ma non ti avvisa sul giorno e sull’ora. Il Passato è passato eppure, ritorna.
J. se ne stava seduta con davanti un vecchio libro di poesie; il caffè bollente nella tazza grande e dell’uvetta che scoppiettava nel forno. Lui, arrivò a piedi scalzi, mentre una brezza di primavera ricordò a Lei giorni passati a farsi domande per i colli.
“Ciao Jacqueline”
Lei alzò la testa e lo vide: quanto è bello il Passato anche se è capace di fare molto male?
J. mise a scaldare del latte e prese i cereali dalla credenza.
“Smettila J. non sono venuto per salvarti”
Che fastidio la gente con questa tiritera della sincerità. A Jacqueline la sincerità stava sulle palle, la trovava noiosa e dolorosa: cosa c’è di bello nell’assenza di poesia?
La verità è qualcosa di oggettivo, priva di aiutanti magici e di sinonimi scelti con cura. La verità è come quando leggi quella confezione di cereali la mattina in assenza d’altro.
“A guardarti bene non sei così bello sai?”
“Lasciati in pace Jacqueline, smetti di fare l’amore col Dolore e di voler conoscere persone come me. Io scrivo storie ma non sono le storie che piacciono a te. Io scrivo di quello che hai vissuto ed è arrivato il momento di buttarli quei cereali.”
“E a me chi mi salverà?”
Il Passato così come era arrivato se ne andò via. “Incredibile quanto sia testarda quella Jaqueline”.
Jacqueline Uvetta ritornò al suo libro di poesie e a quel caffè nero più del nero. L’uvetta si era quasi bruciata e i cereali stavano lì, sul tavolo della cucina, fermi a guardarla. Si mise a leggere la scatola.
Era già tempo di raccontarsi un’altra storia.
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