Recensione di Raffaella Foresti
Distinguere tra realtà e finzione è una battaglia persa in partenza, ci ha insegnato Borges. Tenetelo presente quando leggerete quest’opera di Vila-Matas, Parigi non finisce mai (Feltrinelli, trad. N. Cancellieri), romanzo fittiziamente autobiografico sugli anni giovanili dello scrittore spagnolo a Parigi, partito per ripercorrere le orme del suo idolo Ernest Hemingway.
In una bizzarra conferenza intorno al concetto di ironia, “la più alta forma di sincerità”, secondo lo scrittore catalano, V.-M. coglie l’occasione per raccontare i suoi inizi di scrittore, l’ansia di riuscire nell’impresa di scrivere un romanzo, e il mondo culturale degli anni Settanta nella capitale francese.
Tra personaggi veri e personaggi presumibili – Paloma Picasso, Javier Grandes, Isabelle Adjani e Marguerite Duras, che gli affitterà la mansarda in rue Saint Benoît – l’aspirante scrittore squattrinato ci racconta la propria (giovanile?) inquietudine creativa, non mancando di fare continui riferimenti letterari e cinematografici ed evocare, attraverso aneddoti e leggende, la Parigi di Hemingway e Gertrude Stein, di Cole Porter e Francis Scott Fitzgerald. Ma anche di Jeanne Hébuterne, la pittrice amante di Modigliani che due giorni dopo la morte dell’amato si lasciò cadere di schiena dalle nuvole, in rue Amyot.
L’ironia di Vila-Matas è rivolta soprattutto al giovane se stesso, partito per la capitale francese per scrivere il suo primo romanzo, L’assassina letterata, un libro che si proponeva di uccidere chiunque l’avesse letto. “E perché mai mi seduceva tanto l’idea di uccidere i miei lettori quando oltretutto non ne avevo ancora nemmeno uno?”.
“Parigi non finisce mai” è un libro sui libri, ma è anche un romanzo di formazione che, in quanto tale, contempla accanto al giovane “in costruzione” una figura di riferimento che lo condurrà all’età adulta (letteraria, in questo caso). Questa figura è rappresentata da Marguerite Duras. Inarrivabile e a tratti incomprensibile, per via del suo “francese superiore”, la donna capisce subito che ciò che manca all’apprendista scrittore è uno stile. In questo strano romanzo, V.-M. ci rende partecipi dei suoi dubbi sul “mestiere di scrivere”, sulle sue regole, se esse esistono, sulla ricerca di una “voce”.
Quella voce che negli anni lo scrittore catalano, uno dei più apprezzati oggi in Europa, ha certamente trovato in uno stile denso di rimandi metaletterari, giochi di specchi e continui balzi temporali. E debiti dichiarati verso i grandi del passato. In un’intervista in cui si parlava di Italia e presunti romanzieri emergenti “senza maestri”, Vila-Matas ha detto: “In merito ai giovani scrittori che dicono di prescindere dall’eredità letteraria, li vedo destinati al silenzio o al nulla”, ma poi ammette: “Se fossi esordiente, oggi, non mi pubblicherebbero mai”.
A buon diritto Vila-Matas è considerato uno degli scrittori più interessanti della letteratura contemporanea. Troppo originale per non affascinare, può forse spaventare, a tratti.
Ma ricordiamoci che anche la lettura è un’arte. E Vila-Matas merita tutto il vostro talento.
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21 febbraio 2012
Quegli ambienti e quell’epoca storica mi aprono il cuore: tra i miei libri preferiti vi è “Il viaggiatore alato: storia breve e ribelle di Amedeo Modigliani” (C. Augias) che descrive la Parigi di inizio secolo. Dopo averlo letto ci sono andato diverse volte, e mi ha rapito il cuore.
L’avermi fatto scoprire questo libro che, mia ignoranza, non conoscevo, ha rinfocolato ricordi, sensazioni ed atmosfere: grazie davvero. Non proseguo oltre perché sono davvero commosso nel riscoprire certe cose, quindi mi fermo qui nel parlare.
PS: Sarebbe possibile una recensione de “Il viaggiatore alato”? Chiedo troppo? Mi piacerebbe conoscere che impressione vi ha suscitato.
A me ha rubato il cuore.
21 febbraio 2012
@CONSTANTIN BRANCUSI: ti ringrazio tantissimo per il commento. Per quanto riguarda il “Viaggiatore Alato”, se te la senti, potresti proporre alla redazione una tua recensione. Siamo sempre interessati alla collaborazione di validi lettori. Pensaci!
21 febbraio 2012
Magari son folle ma non vi ricorda un poco l’ultimo film di Woody?
21 febbraio 2012
@ARTURO78: Le atmosfere in parte ricordano quelle del film “Midnight in Paris” di Woody Allen, ma lo spirito del ricordo di quell’epoca è più disincantato. Ti cito un brano del libro che parla di Hemingway che dovrebbe renderti il concetto: “Ha finito per essere eternamente una sorta di grande padre per me, papà Hemingway, che non ho mai voluto detronizzare del tutto, prova ne è la mia ostinazione nel credere di avere una certa somiglianza fisica. In fin dei conti, ha inciso sulla mia vocazione di scrittore con le frasi che mi hanno indotto a essere infelice a Parigi: “Parigi non finisce mai e i ricordi di chi ci ha vissuto differiscono tutti gli uni dagli altri… Ma questa era la Parigi dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici”. Parigi non finisce mai”.
25 febbraio 2012
Bella recensione, Raffaella.
V-M m’innamora ogni volta che non “narra”.
Detto questo, come sottolinei, V-M è uno scrittore unico.
Bello il tuo finale
26 febbraio 2012
Grazi Alfahridi, felicissima di ritrovarti tra i lettori del sito.