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Recensione di Carlotta Susca

 

Questo libro è postmoderno, e lo dice anche la traduttrice, Elena Basile, nella prefazione al testo, ma.

Allora, prima del ‘ma’, il testo è effettivamente postmoderno perché:

  • è femminista, e del POMO si sa che privilegia l’espressione di un gruppo di persone (in base al genere, per l’appunto, o alla razza, o alle istanze ambientaliste, per esempio);
  • è metanarrativo, perché contiene un altro libro, con relativa copertina e numerazione di pagine: si tratta di Malva l’Orizzonte, di Laura Angstelle e tradotto da Maude Laures;
  • è metanarrativo anche perché Laura Angstelle e Maude Laures, insieme a Mélanie, Lorna Myher e Kathy Kerouac, sono personaggi anche del racconto A, che funge, quindi, quasi da paratesto al racconto B (Malva l’Orizzonte);
  • è metanarrativo, ancora, perché ruota tutto attorno alla scrittura e alla traduzione;

richiede una cooperazione interpretativa al lettore che, a vari livelli, veicola significati diversi: per esempio la traduttrice (quella vera, Elena Basile) sottolinea che Mélanie suona come ‘mais la nuit’, ‘ma la notte’ (e in effetti la notte ha una sua valenza semantica, nel testo), ma anche Myher è un nome parlante (‘la mia lei’), così come Angstelle (angst = inglese per ‘angoscia’ + elle = ‘lei’ in francese, e considerando che la Brossard è francofona ma il libro è ambientato negli USA e che di traduzione si parla tantissimo nel libro, come abbiamo detto, be’, la cosa non pare irrilevante); inoltre il cognome di Maude, la traduttrice (quella diegetica), non somiglia a ‘mauve’, ‘malva’?

Quindi è postmoderno, e arriviamo al ‘ma’. È un postmoderno che non pone gli artifici narrativi al servizio della pregnanza, come sarebbe giusto che fosse. Il racconto si moltiplica, si frammenta, si decostruisce (i capitoli sono alternati a parti che trattano Personaggi, Scene, Dimensioni, Luoghi e oggetti), ma la storia non veicola altro che se stessa e una riflessione sulla difficoltà della scrittura.

Il testo è intimista, a tratti involuto, accartocciato su se stesso. È un postmoderno senza i picchi stilistici che la corrente ha raggiunto, e non registra traccia dell’evoluzione naturale del massimalismo letterario verso l’attribuzione di senso alla realtà. Si parla di confini e frontiere, è vero, si parla di difficoltà comunicative e della valenza della traduzione come riproposizione ma anche come snaturamento, ma se ne parla in relazione alla letteratura, e non alla vita. Il Postmoderno adesso veleggia verso altri lidi, anche quando parla di deserti.

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