Recensione di Giorgio Michelangelo Fabbrucci
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Herman Melville raccontò un secolo e mezzo fa la storia di un uomo che una volta assunto in uno studio legale di Wall Street, iniziò a negarsi agli impegni del mondo rispondendo ad ogni richiesta con una frase cortese ed enigmatica: “Preferirei di no”.
Bartleby con la sua leggendaria risposta fa parlare di se da più di cent’anni. Un personaggio consapevole dell’assenza di un destino; consapevole che una ragione profonda per cui valga la pena agire forse non vi sia; un personaggio che ha aperto le porte dell’assurdo e dell’esistenzialismo fino a divenire, nel libro che vi sto per raccontare, un archetipo.
Vila-Matas, in questo testo incantevole, ripercorre con colta ironia e enciclopedica cultura le vite e gli aneddoti di tutti quegli scrittori che, per una ragione o per l’altra, hanno preferito non scrivere più, cadere nell’anonimato, rispondere ad amici, lettori ed editori: “i will prefer not to”.
Non ho mai avuto fortuna con le donne, sopporto con rassegnazione una penosa gobba, non mi resta un solo parente stretto vivo, sono un povero solitario che lavora in un ufficio spaventoso. Per il resto, sono felice. Oggi più che mai, perché do inizio – in data 8 luglio 1999 – a questo diario che sarà al contempo un quaderno di note a piè di pagina a commento di un testo invisibile che spero possa dimostrare la mia bravura come cercatore di bartleby.
Come detto Vila-Matas trasforma l’enigmatico copista melvilliano in una patologia, con tanto di diagnosi e prognosi (non scriverà mai più), mutandosi lui stesso (autore di opere corpose e originalissime) in un Bartleby che si fa copista di autori falliti.
Il testo è una carrellata veloce e mai stucchevole di storie, aneddoti, dicerie, scritti critici riguardanti gli Scrittori del No. La ricerca spazia dal nuovo al vecchio continente, dalla Grecia classica, alla Germania romantica sino all’Italia contemporanea senza continuità logica, se non quella data dal desiderio di rinunciare alla lettera scritta.
Ritroverete con stupore tra le fila di questa eccentrica collezione, autori quali Salinger (spiato dal narratore su di un tram di New York); Socrate (mentre balla da solo tra le strade di Atene); Bobi Blazen (con la sua marmorea convinzione sull’impossibilità di scrivere); Felipe Alfau (che smise di scrivere perché da spagnolo era troppo occupato a comprendere le sfumature dell’Inglese) e molti altri nomi più o meno noti ma pur sempre caratterizzati da storie o convinzioni fuori dal comune. Vila-Matas, a mio avviso con uno spiccato intento divulgativo, riesce a rendere accessibile il testo a qualsiasi genere di lettore, potremmo dire dal letterato snob al digiuno curioso di lettere, inserendo all’interno di questa ricerca dal gusto illuminista, personaggi fasulli, note autobiografiche del suo goffo e solitario narratore, così come considerazioni profonde sul significato della letteratura nel nostro mondo.
Un libro antinomico per eccellenza, poiché in fondo catalogo di lettere mai scritte, capace di conquistare dalla prima riga; capace di accompagnare per mano il lettore alla ricerca di grandi e spesso ignoti autori.
Concludo citando un ultimo brano in cui il narratore arricchisce l’epopea dei bartleby citando una tra le scuse più spiazzanti mai ascoltate:
Quando gli domandavano perché non scriveva più, soleva rispondere: “E’ che è morto zio Celerino, quello che mi raccontava le storie”. [...] La scusa dello Zio Celerino è tra le più originali che conosco fra quelle che gli scrittori del no hanno formulato per giustificare il loro abbandono della letteratura.
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