una recensione a cura di Tiziano Colombi
E’ una notte del 1955, Anna Maria Ortese, inviata dell’Europeo, si reca alla Stazione centrale di Milano per scrivere un pezzo su uno dei luoghi simbolo della città.
Ad accompagnarla un fotografo (perché l’Europeo guarda ai rotocalchi americani Life e Look, come dirà Arrigo Benedetti, che dell’Europeo è direttore: «un articolo lo si guarda, una fotografia la si legge»).
E’ il primo dei reportage che sono raccolti nel volume Silenzio a Milano, edito da Laterza nel 1958 e ristampato, senza una piccola introduzione che permetterebbe di cogliere meglio il valore storico degli articoli, da Tartaruga nel 1993.
Il libro di Anna Maria Ortese è preziosissimo (e introvabile) e rivela, se mai ancora ce ne fosse bisogno, lo straordinario talento di giornalista, oltre quello – mostruoso – di scrittrice.
Quando l’Europeo la ingaggia, Anna Maria Ortese ha già pubblicato Il mare non bagna Napoli (attirando feroci critiche da parte degli ex compagni di Sud, la rivista di Prunas e La Capria); realizzato un reportage sulla Russia, in ben sei puntate, uscite per l’ Unità nella serie: Donne sovietiche come io le ho viste (anche in questo caso, polemiche al vetriolo e ostracismo); seguito il Giro d’ Italia del ‘ 55 (“Vediamolo da vicino questo Coppi”) e indagato su diverse realtà della vita milanese.
La sensibilità e la sincerità, unite alla felicità di scrittura, la grazia, il dio dello stile, permettono ad Anna Maria Ortese di cogliere la realtà che le si presenta davanti e di fermarla sulla pagina con una forza e una chiarezza profetiche, di veggente.
Ma soffermiamoci sulla scrittura, proprio sulla costruzione della frase, sulla scelta dei vocaboli che rendono questo libro non solo un’interessante serie di inchieste, ma un’opera letteraria modernissima e attualissima (si pensi A sangue freddo di Truman Capote, a Guerre politiche di Goffredo Parise).
E’ certamente il metodo di scrittura a consentire a queste pagine, a questi personaggi, a queste trame di arrivare a noi, a distanza di cinquant’anni. Sì, trame, personaggi, perché Anna Maria Ortese non rinuncia a raccontare, anche in veste di giornalista, e si direbbe superiore alla banalità del dettato: i fatti, solo i fatti.
E da dove parte la scrittrice? Dai corpi, dove tutti i conflitti si sono depositati: rovesci della fortuna, l’eterno conflitto tra poveri e ricchi, tra giovani e vecchi, tra città e provincia, nord e sud.
Dietro la facciata di Milano, ricca e moderna capitale della produzione, si nasconde l’inquietudine, l’ansia per la paura di fallire, di rimanere soli, di non servire più, di essere rigettati, respinti in quell’Italia pastorale che cerca, attraverso l’inurbamento e l’impiego, di diventare moderna.
Sono occhi, volti, voci, mani (una miriade di mani: di fuoco, bianche, troppo bianche, parlanti, delicate, lisce, lunghe, sgradevoli, oscuramente vive vecchie, piene di vene magre, zampette d’uccello morto), posture del corpo a rivelare qualità e grado, o degrado, di umanità.
Anna Maria Ortese non rinuncia a caricare di valori simbolici, talvolta onirici, alcuni dei personaggi (il maestro che attende il treno per Parigi; il pastore abruzzese che ha fatto richiesta allo Stato di avere un momento di solitudine, prima di morire; Masa che pensa a quando giungerà la telefonata tanto attesa dell’ex fidanzato e ormai avrà lasciato la vecchia casa paterna).
Silenzio a Milano rappresenta il punto più alto dell’indagine giornalistica, quando è realizzata da un ingegno letterario (si pensi a Tre ghinee di Virginia Woolf).
La visionarietà di cui si alimenta il testo, permette all’autrice di cogliere e raccontare (alla fine di Ragazzi di Arese è impossibile non scoppiare a piangere, come in moltissimi altri punti) la fine del capitalismo, ancora prima che in Italia scoppiasse il boom economico.
E come riesce?
A nostro avviso, attraverso lo stile. Crescente, di pari passo con il pathos dei personaggi.
Anna Maria Ortese non è distratta dalle mode culturali, dall’ideologia del tempo, non asseconda il gusto dei potenziali lettori. E’, invece, concentrata, come tutti i grandi scrittori, sulla lotta per la vita (si pensi alle riflessioni su Darwin e l’evoluzionismi di Gadda e Parise).
Per chiudere, abbiamo chiesto ad Adele Cambria (Adele Cambria è stata amica e promotrice, insieme a Dario Bellezza, della raccolta firme che permise, negli ultimi difficilissimi anni di vita, il conferimento alla scrittrice napoletana, esule a Rapallo, della Bacchelli) un ricordo di Anna Maria Ortese, in qualità di giornalista, scrittrice, femminista.
Abbiamo trovato la risposta nella post fazione di Adele Cambria ad Estivi terrori, edito nel 1987, dalla piccola casa editrice catanese il Pellicano.
Un altro libro veramente scomparso di cui daremo conto sabato prossimo.
