invia il tuo racconto inedito

La Scopa del Sistema – David Foster Wallace

Recensione di Giorgio Michelangelo Fabbrucci

Fin dal primo capitolo comprenderete come Wallace sia per certi versi uno dei più lucidi aedi della nostra epoca. Rimarrete immediatamente basiti dallo stile impresso ai dialoghi e di come questi, nel loro disarmante realismo, assumano una sfumatura di nichilismo… non solo imposto dal tratto dell’autore, ma anche dall’oggetto della narrazione: le nostre esistenze (mi riferisco sempre e solo al mondo occidentale, ovviamente).

Al contempo non sarà affatto facile entrare in contatto immediato con il testo. Non tanto per l’overture (una stanza di un dormitorio universitario al cui interno tre ragazze tra una fumata di canna e abbondante chiacchericcio inutile, si stanno vestendo per andare ad una festa altrettanto inutile; intenzione purtroppo ostacolata dall’entrata in scena di due giovani maschi ubriachi, dei quali uno prende a testate il muro e l’altro chiede che gli siano firmate le chiappe) quanto per il modo in cui i personaggi vengo presentati e fatti interagire. Forse si proverà un senso di smarrimento nell’apprendere che Wallace lascia intravedere i protagonisti, delineandoli lentamente, con calma e dovizia, durante il corso delle pagine. Inizialmente vi potranno sembrare tutti equipollenti, nella loro inutile utilità. Antinomie; decine di nomi e nomignoli; riferimenti a luoghi e situazioni ignote; dialoghi da documentario di MTV, per certi versi ridondanti nella loro superficialità, ma così vividamente credibili da riempirvi il cuore di tristezza. Con il passare delle pagine (forse sono un poco imbecille, a me ne sono servite quasi cento) ci si potrà convincere che quel caotico aggrovigliarsi di assurde esistenze intrecciate abbia una sua sequenza e ragione razionale. Come se l’autore non si fosse limitato a raccontare una storia, ma piuttosto l’abbia voluta fotografare intessendo una fittissima trama di stralci. Sensazione che verrà confermata, con forte senso di stupore, quando, dopo quasi trecento pagine, ritroverete ad esempio il protagonista maschile della sopra citata overture.

In effetti la grandezza di Wallace ne la scopa del sistema (oltre al fatto che questo testo è stato scritto da un autore ventiquattrenne) l’ho personalmente misurata con due parametri: lo stupore e l’intreccio.

DFW mostra fin da subito l’attitudine al colpo di scena. Sul palcoscenico del romanzo si affastellano con ritmo incalzante dettagli originalissimi, grotteschi, al limite della credibilità. Wallace attinge al non-sense per plasmare la materia con la quale arricchire i cuori e gli spiriti delle proprie marionette: Leonore dalla bellissime gambe, nipote dell’omonima bisnonna discepola di Wittgnestein, a sua volta capo fila di una tribù di vecchietti in fuga, (inconsapevolmente oppure no) vittime di un cibo per l’infanzia basato su una ghiandola bovina che riesce addirittura a far parlare un pappagallo di Bibbia e di sesso, che porta il nome di uno dei più crudeli tiranni della storia, eccetera, eccetera.

In altre parole l’originalità, nel senso più ampio e bizzarro del termine, viene monopolizzata dall’autore che riesce a superare sempre in fantasia anche il lettore più creativo.

Una capacità inventiva che, passando al secondo parametro, non viene concentrata nei protagonisti (in verità già di per se numerosi), ma all’opposto rimane una costante in ogni livello di racconto: dalla trama principale alle storie di secondo e terzo livello. Storie, si noti bene, che seppur vengano presentate come post-it caduti per caso all’interno delle pagine, possiedono un loro senso e una loro legittimità, derivata da un intreccio così articolato da includerle tutte in modo folle ma pur sempre convincente.

Ciò che mi ha lasciato perplesso, per quanto lo si possa essere davanti ad un interprete così imponente delle letteratura contemporanea, è il modo in cui l’autore costruisce la sua poetica. Il focus sulle manie della nostra società, sulle fittizie ragioni sulle quali ogni individuo costruisce la sua vacua esistenza, per quanto sia lampante, rimane a mio parere soffocato da un’ironia esasperata, ancor più calcata da un contesto costruito per paradossi. Perplessità che è stata confermata dallo stesso autore in un’intervista alla ZDFmediatek in cui Wallace stesso si rammarica di come i lettori nelle loro risate smodate, nella loro smania di divertirsi con le sue pagine, perdano di vista il sotto inteso: ovvero il significato politico dell’ironia, la sua volontà di essere trasfigurazione del dolore.

In questo, a mio sommesso parere, Wallace non ha centrato il bersaglio. Il testo scorre, le risate si accavallano alle assurdità descritte. Ma di tutta questa follia, al lettore non rimane altro che la follia stessa.

Concludendo consiglio questo testo a tutti coloro che vogliano confrontarsi con la vacuità dell’epoca apprendendo al contempo, tra una risata e l’altra, una grande lezione di stile.

[email protected]

___

Scopri lo speciale David Foster Wallace! Clicca Qui

Author: Giorgio Michelangelo

Giorgio Michelangelo Fabbrucci (Treviglio, 1980). Professionista del marketing e della comunicazione dal 2005. Resosi conto dell'epoca misera e balorda in cui vive, non riconoscendosi simile ai suoi simili, ha fondato gli Alieni Metropolitani... e ha iniziato a scrivere.

Share This Post On
  • Google

20 Comments

  1. Di questa recensione ammiro la chiarezza e l’esaustività. Non è affatto facile condensare un libro – e un Autore – come questo senza perdere il filo o tralasciare qualcosa di importante. Complimenti per questo primo exploit della settimana wallaciana, e che Dio vi benedica per l’iniziativa.

    Post a Reply
  2. …dio o non dio (personalmente meglio senza, ho un credito di un rogo innalzato dai suoi seguaci…) grandi Alieni!! Attendo trepidante il sequel!

    Post a Reply
    • Girolamo ti capisco sai, quel giorno mi è entrato tutto il fumo dal balcone. Dio si fa per dire 😉

      Post a Reply
  3. “In questo, a mio sommesso parere, Wallace non ha centrato il bersaglio. Il testo scorre, le risate si accavallano alle assurdità descritte. Ma di tutta questa follia, al lettore non rimane altro che la follia stessa.”

    Concordo pienamente! Bersaglio che Wallace, invece, centra pienamente nel prossimo libro che recensirete sul vostro speciale a lui dedicato.

    Post a Reply
  4. Melusina, mi dispiace che carne mia sì bruciata abbia imputridito l’aere del balcone di casa tua :-) Non intendevo essere polemico, nè offensivo: adesso sotto con la recensione di Infinite Jest!

    Post a Reply
  5. Io credo che qui il tema sia piuttosto il linguaggio: tutta la menata su Wittgenstein non è presente per caso. Il romanzo è riflessione sul romanzo stesso, ed è, credo, la prima critica di DFW a quelli che lui definisce I Grandi Edonisti. Non si tratta quindi, a mio parere, nè di edonismo compiaciuto nè critica della società (o meglio: certo che lo è, ma non in modo convenzionale) , ma critica della letteratura semmai. Cosa dovremmo scrivere, questa mi sembra la domanda. La grandezza di DFW qui, a mio parere, è che il cazzeggio è travestito da cazzeggio ma non è affatto cazzeggio.
    E non a caso prende la forma di un romanzo di formazione (quella di Lenore) proprio perché la formazione di Lenore è anche quella del lettore, che deve capire, esattamente come lei, le regole del gioco. Ovverosia le regole del linguaggio, che nella poetica di DFW, è sempre il risultato di un’interazione, e non qualcosa di “esterno”.
    Lenore ci arriva, infine, trovando la sua identità, il modo di partecipare attivamente al gioco. E questo è il tema se vogliamo così morale: non essere schiavi del linguaggio (del linguaggio anche dei media), ma partecipare alla sua “costruzione” per trovare la propria funzione e il proprio senso.
    Non credo, in tutto questo, che La Scopa sia rappresentazione della vacuità, del nulla postmoderno, anzi è il primo pregevole tentativo di costruire una rappresentazione di valori, in contrasto a quanto fatto dai suoi predecessori.

    Post a Reply
    • Caro BobbyBi. Ti ringrazio per aver introdotto un elemento di dibattito e per aver esposto così brillantemente il tuo punto di vista, che personalmente non vi vede concorde. A mio parere le ragioni da te sviluppate sulla poetica di questo testo sono troppo ermetiche, seppur molto affascinanti, per risultare credibili. Un livello di lettura che supera, prendendo come buona la tua analisi, in complessità il nome della rosa, per approdare a supporre le intenzioni dell’autore. Dal deserto DIO, al pappagallo verboso, dai dialoghi universitari, alla presenza polipesca delle multinazionali vedo una fotografia piuttosto elequente di vacuità. Elequenza che non mi spinge ad inoltrarmi oltre.
      Grazie mille per il commento. Giorgio

      Post a Reply
  6. Ciao Giorgio, e grazie della risposta. Io trovo che nella Scopa DFW sia esattamente complicato come in tutti gli altri libri, proprio perché ti vuole portare dentro davvero, ti vuole impegnare, costringere a uno sforzo per partecipare davvero. Lo trovo parte della sua poetica.

    Post a Reply
  7. Bella recensione, e rispetto i vostri punti di vista, ma personalmente considero Wallace un malato di mente che propone idee trite e ritrite. Un grande imbonitore ma, nella sostanza, privo di spirito innovativo salvo, in parte, il profilo puramente tecnico, quello linguistico.
    Ai vari Barth, Gaddis, DeLillo, McCarthy e Roth può solo lustrare le scarpe, se loro acconsentono beninteso.

    Post a Reply
    • Beh dai! Non ti sembra di avere esagerato un po’? Forse potresti accorgertene quando DFW facesse il suo ingresso (se mai capiterà,e io credo di sì)nelle antologie scolastiche di letteratura.
      Del resto, sei sicuro che a proposito di “lucidare loro le scarpe” gli autori da te citati sarebbero d’accordo con te?
      Che DFW fosse malato di mente è fuor di dubbio (leggi magari cosa ne pensa Franzen in proposito: ti aiuterà, credimi), ma la sua grandezza intesa come capacità di far superare al lettore le fatiche necessarie per indagare con dolorosa ironia lo “human being” riscaldandogli al tempo stesso il cuore, a oggi è pressoché unica.
      Senza andare troppo lontano, prova a leggere (o a rileggere) il racconto “Piccoli animali inespressivi” di cui alla raccolta intitolata “La ragazza dai capelli strani”, può darsi che ti provochi un sussulto di riflessione. E magari, andando sul difficile, tecnicamente parlando,indurti a ripassare le opere più impegnative.
      Buona rilettura.

      Post a Reply
      • Piccoli animali senza espressione è uno dei miei racconti preferiti! Anch’io penso che un giorno lo troveremo sulle antologie scolastiche, come tutti quelli che sono stati in grado di raccontare un’epoca

        Post a Reply
        • scusa puoi gentilmente raccontarmi la trama di piccoli animali inespressivi? grazie.

          Post a Reply
  8. Bene. Non sono il solo dunque (si fa per dire). Keep in touch.

    Post a Reply
  9. Spesso i “malati di mente” sono stati geni. La sanità mentale in campo artistico è forse più limitante di qualsiasi pregiudizio razionale, delle regole e del conformismo. L’interpretazione della realtà con occhi diversi rende grande la letteratura quindi: aprite le gabbie, diamo spazio alla follia e che i matti circolino liberi per le strade.

    Post a Reply
    • Sono d’accordo senza riserve.

      Post a Reply
  10. il primo detrattore della “scopa” è DFW che nell’intervista a Lipski (come diventare se stessi – mimimum fax) definisce grossomodo come un lavoro superficiale e presuntuoso, pensato come una conversazione tra Wittgenstein e Derrida (sic). Attenzione però! Dichiarazione da prendere con le molle quando a farla è un perfezionista maestro dell’autocritica e dell’ipercoscienza (su tutti: “caro vecchio neon” oblio) come il nostro. Senza avere la pretesa di recensire compiutamente la scopa del sistemna, posso tuttavia senz’altro affermare che si tratta di un’opera straordinaria e allo stesso tempo godibilissima, alta e pop, con almeno 3 livelli di lettura, densa di tracce e sottotracce, decine di microstorie e, perchè no, divertetissima.

    Post a Reply
  11. scusate c’è qualcuno che potrebbe raccontarmi la trama di piccoli animali inespressivi?

    Post a Reply
    • Conviene leggerlo. Comunque: due bambini, una femmina e un maschio, vengono abbandonati dalla madre lungo un’autostrada.
      Dieci anni dopo, ormai adulta, ritroviamo la ragazza nella veste di imbattibile campionessa del gioco televisivo a premi JEOPARDY. Ma un giorno la giovane viene sconfitta da un ragazzo autistico: lui è suo fratello.
      Il racconto si svolge tra la storia sentimentale di lei con una ragazza dello staff televisivo e altre sapienti pennellate sull’ambiente di quel particolare mondo TV. Lui, DFW, aveva un forte rapporto con la televisione, specie in materia di intrattenimento.
      Non aggiungo altro. Quando avrai letto il racconto, fammi conoscere il turo giudizio.

      Post a Reply
  12. L’ ho appena finito di leggere e devo dire che è uno dei libri migliori che abbia mai letto: è divertente ma ti fa entrare bene nei panni dei protagonisti, per quanto siano surreali e folli, sono arrivato ad un punto che ridendo come un pazzo facevo incondizionatamente il tifo per Lenore, personaggio memorabile.
    (Brutta analisi fatta da un 14enne)
    Cosa ne dite del finale? L’ avete interpretato? Io propendo per un lieto fine, wallace da alcuni indizi che confutano totalmente la tesi finale di Rick Vigorous, ma forse potreste aprirmi gli occhi.

    Post a Reply
  13. Tornando sull’argomento. Sia nella (apprezzabile) recensione che in alcuni commenti si pone l’accento sull’esplosione di risate che la lettura del romanzo provocherebbe. Mah, io non ho riso mica tanto. Quest’opera di esordio di DFW non ha nulla di “goliardico”: è invece, secondo me, l’avvio di una sofferta ricerca su non poche questioni esistenziali, ricerca che sarà poi portata dall’Autore ad altezze vertiginose nelle opere successive. Che poi la Scopa “appaia” come un concentrato di ironia allo stato puro, queato è possibile. Ma ricordiamoci che DFW ha sempre sostenuto (in ciò ponendosi su una posizione diversa rispetto ai primi postmodernisti, di cui lui peraltro si consideraa patricida)che l’ironia ha un senso se si prefigge un fine, mentre è ininfluente se fine a se stessa. E lui ci rimanda così,sul piano filosofico, al concetto di teleologia, che in questo caso vale la pena di approfondire; così come andrebbe tenuta in seria considerazione, come uno dei fondamenti importanti del romanzo, l’influenza del pensiero di Wittgenstein su ruolo/funzione/significato del linguaggio (vedasi Bombardini)nella vita degli esseri umani, che poi altro non è se non il rifiuto del solipsismo. Grande il merito di DFW per averlo così bene rappresentato!

    Post a Reply

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *