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Dai racconti di Marco Arcieri

 

Sulla linea delle onde: una piccola spiaggia di una disgraziata città di mare; una donna con una gonna a pieghe e un maglione rosso che alza lo sguardo al cielo.

È libero dalle nubi, il cielo, come accade nelle fredde giornate d’inverno quando il sole tenta di scaldare l’emisfero sbagliato. La città è sveglia da qualche ora; l’aria profuma di sale.

Dalla strada giungono motori, voci, sbattimenti d’ante di portoni. Indifferenti al freddo, il fornaio, il barista con il suo vassoio di tazzine traballanti; tutti alla ricerca di qualcosa che non possono trovare.

La donna con la gonna a pieghe ed il maglione rosso osserva il mare, scindendone le onde con ogni distinto battito di ciglia. Siede sulla sabbia, incurante dell’umido salato dell’acqua e volge le spalle alla strada, respirando il vento di tramontana freddo e profumato di monti.

Ora punta la pistola su di me. L’ha estratta dalla borsa. Il suo viso non ha dubbi. Lei non ha ripensamenti. Non si cura del mio, di viso, della mia bocca.

Non le importa di me. Vuole solo terminare questa giornata. Per sempre.

Un’ultima occhiata alle onde che disegnano la sabbia bagnata con lunghi ed impercettibili archi di seta. Spara.

Cado sulle ginocchia afferrando l’aria che non mi sostiene. La mia pelle ha un brivido, le mie labbra si ritirano e gli occhi tradiscono solo la sorpresa. Il proiettile è già dentro di me, perforante, fuoriuscito, ma lo vedo, riflesso nella memoria dell’istante, come rallentato, fantastico, nell’aria fredda; che corre, dondolante oltre lo spazio e il tempo, mostrando il suo aspetto acuminato.

Il proiettile è veloce. Ignora la gravità, sale oltre la linea del vento, si beffa delle onde e disegna la morte come un pastello di piombo e nichel.

È ormai fuoriuscito dal mio corpo, sotto la spalla. Con sé porta piccole tracce di me, impercettibili come la pelle e qualche lineare ruga di sangue.

 

Non ho voluto colore in questa stanza. Ho solo desiderato il bianco perché i miei occhi lo pesano, distratti, per volgersi altrove, dove abita il mondo. Ho posato un tappeto di lino sul legno, per dormire. I miei vestiti li ho abbandonati lì, in un angolo della stanza, dove non danno fastidio a nessuno. Nemmeno a me. Mi bastano questi pantaloni pesanti, con piccole macchie di vernice incrostata; questa maglia blu, queste scarpe. Devo solo uscire per strada e trovo tutto ciò di cui ho bisogno. Per questo posso vivere così lontano dal mondo. Vivo al suo interno, come se la terra sia effettivamente cava e solo il mio corpo possa insinuarsi tra le fessure del terreno, in interiora. Forse così, prima o poi, troverò la pietra nascosta.

 

Ci sono altre due figure, sulla spiaggia. Si muovono tra le barche, secondo una lunga teoria di orme elettrizzate sulla sabbia. Si trovano al di là del recinto delle barche, proprio davanti al magazzino dell’Hotel. Una di loro è un uomo con l’impermeabile. L’altra non so. L’uomo con l’impermeabile passa il tempo a passeggiare su questa spiaggia, come se il suo mondo termini sulla linea delle onde.

Sento battiti di conversazione. Chi è quell’uomo con il maglione blu, chiede il compagno. Un uomo, risponde l’uomo con l’impermeabile.

E non è finita, penso, perché ci deve essere un motivo.

Il mio colore è diverso, i vestiti anche. E la donna con la gonna a pieghe e il maglione rosso non la vedo più. Nemmeno noto le tracce dei suoi piedi sulla sabbia. E anche l’aria è diversa, ora. Più fredda, come se il gelo di questo inverno sia penetrato improvvisamente nelle mie ossa.

Percepisco che i due compagni si stanno avvicinando. Non posso scorgere i loro volti ma decido di farmi raggiungere.

 

Ho sentito i loro passi sempre più vicini. Il loro respiro, senza ansia, deciso, come quello di predatori sulle peste della loro vittima. Che sia una preda in questo nuovo mondo? Di quale materia è ora la mia sostanza? Ho desiderato morire. Non ne avevo il coraggio. Ho chiesto e pagato. Nel mio mondo bastava per ottenere ogni cosa.

 

Gli uomini sono dietro di me. La paura mi spinge ad aumentare l’andatura, contro ogni logica. Non posso girarmi verso di loro. Non posso volgere lo sguardo. Li sento.

Se li guarderò capirò ogni cosa e una parte di me non vuole che questa riva del mare, questa linea delle onde, rappresentino l’ultimo confine del mio essere; che questi uomini, le cui ombre mi parlano, siano i miei ultimi compagni. Sognavo l’eternità del nulla e scopro che l’inferno è solo il confine della libertà.

 

Nella mia stanza non ho voluto colore. Mi ci hanno portato loro, dopo avermi afferrato per le spalle. L’uomo con l’impermeabile aveva per viso un teschio; anche lui è solo una vittima della stravaganza. L’altro uomo mi pare innocuo, quasi un visitatore.

Nella mia stanza, per lo più, guardo il mare, attraverso il vetro scuro della finestra. E conto le onde di marea, riallineando con gli occhi il confine del mio mondo nuovo.

Non scoprirò mai cosa esiste al di là del mare, oltre la linea profonda delle onde.

 

M.A.
[email protected]

 


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