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Una recensione a cura di Tiziano Colombi

 

La Santa di Antonio Moresco è stata messa in scena, con la regia di Renzo Martinelli, nel 2000, in occasione del Giubileo, aggiudicandosi il primo premio del concorso ”Sette Spettacoli per un nuovo teatro italiano per il 2000″.

Pubblicato nella collana Variantine di Bollati Boringhieri (la stessa casa editrice che già aveva ospitato La cipolla e Clandestinità), il libro contiene, oltre al testo, le note di regia e alcune fotografie della messa in scena.

Il libro risulta fuori catalogo dal 2001 e di difficile reperimento, difficoltà dovuta forse anche alla natura di “testo teatrale”.

Antonio Moresco, profondo conoscitore degli ambiente ecclesiastici (essendo stato seminarista, vicenda magistralmente narrata nella prima parte de Gli esordi), è fatalmente attratto dalle dinamiche femminili del Carmelo. Lo dimostrerebbero  anche le interviste a due suore di clausura pubblicate in Scritti di viaggio, di combattimento e di sogno, Fanucci 2005 (altro libro che meriterebbe di essere ripubblicato, anche perché punto di snodo di esperienze di viaggio e riflessioni che hanno portato Antonio Moresco a lanciare nel 2011 Cammina cammina e, nel 2012, Stella d’Italia).

La Santa affronta la storia della vocazione di Santa Teresa di Lisieux, Santa Teresina, per distinguerla dalla fondatrice dell’ordine, Santa Teresa d’Avila.

Benché esistano chiaramente punti di contatto e analogie tra le due grandi Sante carmelitane, Moresco è riuscito a cogliere appieno la novità, la modernità della vicenda della Santa francese. Teresina, sebbene destinata a vita di clausura, è donna che ha compreso pienamente lo spirito del suo tempo (« voglio cercare il mezzo di andare in Cielo per una via ben diritta, molto breve, una piccola via tutta nuova. Siamo in un secolo d’invenzioni, non vale più la pena di salire gli scalini, nelle case dei ricchi un ascensore li sostituisce vantaggiosamente. Vorrei anch’io trovare un ascensore per innalzarmi fino a Gesù, perché sono troppo piccola per salire la dura scala della perfezione»).

Moresco è abile nel mescolare fatti storici e invenzione letteraria. Le dinamiche della famiglia Martin si intrecciano nel Carmelo (Louis Martin, padre di Teresa, Paolina e Maria Agnese, aveva destinato quattro degli otto figli alla vita contemplativa) e danno vita ad un’ambigua, inesorabile e modernissima macchinafabbrica della Santità.

La vicenda si colloca alla fine dell’Ottocento, in Francia.

Santa Teresina ha intuito che la via per la Santità, e la Canonizzazione, non passerà (a differenza di altre Sante e Mistiche) dalla fondazione di nuovi conventi, dalla realizzazione di nuove missioni, ma si compirà attraverso una puntuale, minuziosa, documentazione dell’esperienza spirituale, con parole scritte (e fin qui forse non si discosta dalla tradizione inaugurata proprio da Teresa d’Avila con il diario della propria vita) e con il teatro e la fotografia, “a futura memoria”.

La madre superiora autorizza l’ingresso nel Carmelo di macchine fotografiche e camere oscure per immortalare la nascita e la consacrazione di Teresina.

Ecco in scena allora personaggi come il fotografo Talbot, inventore del negativo per la stampa delle fotografie in camera oscura (si allude alla nascente tecnica dei fratelli Lumière) e il medico Koch, scopritore del bacillo che causa la tubercolosi; malattia di cui Teresina morirà; male del secolo, del resto.

Folgorante il pro-logo: un papa vecchio (Leone XIII), imprigionato da lamiere, ricorda di aver ricevuto, in udienza, una poco più che bambina francese smaniosa di entrare in Carmelo, nonostante la giovanissima età.

Su di lui, Papa fantoccio, umanotroppo umano, ricade il peso della Memoria e di ciò si scusa col pubblico (non si dimentichi l’occasione in cui l’opera teatrale è andata in scena, il famoso, mass-mediatico Giubileo del 2000).

Piace pensare che quest’opera abbia vinto il primo premio in occasione del Giubileo, proprio perché ha colto l’ambiguità sottesa alla costruzione, al riconoscimento, al processo massmediatico che si può nascondere dietro la canonizzazione dei Santi; tra esaltazione, fanatismo, superstizione e interessi economici.

A cent’anni dalla morte di Teresa, la figura della Santa fa discutere e infervorare ancora fedeli, teologi e scienziati (della vocazione di Teresina si occuparono, in chiave di nevrosi e autosuggestione, psicanalisti del calibro di Freud).

Una nota finale, è in corso da anni il processo di Beatificazione di Adelaide Roncalli, che, durante la seconda guerra mondiale, si rese protagonista di tredici incontri visionari con la Vergine (dal 13 maggio al 21 maggio del 1944 e dal 28 maggio al 31 maggio dello stesso anno). Ad assistere alle visioni della bambina, arrivarono tre milioni di persone. La natura delle parole, che la bambina riferiva essere ispirate dalla Madonna, parole di pace, giunsero perfino alle orecchie irate di Hitler e spinsero la Gestapo a progettare un rapimento che fu sventato proprio grazie all’intervento di un gruppo di Carmelitane.

Anche in quel caso – per questo troviamo analogie e citiamo la vicenda – la bambina, isolata nel Carmelo, fu sottoposta ad indicibili pressioni psicologiche.

Come Moresco fa dire alla terribile Madre superiore di Santa Teresina: “Se non le trattiamo male, non diventano sante”.

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