Recensione di Marco Arcieri
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Ho letto questa raccolta di racconti di Wallace immediatamente dopo La scopa del sistema, il suo primo romanzo. Ricordo distintamente di essere rimasto, al momento, piuttosto impressionato dalla bellezza di questi racconti, i primi pubblicati da DFW e scritti quando aveva solo 27 anni. Ricordo anche di aver esaltato la prosa di Wallace, in quel periodo. Era un periodo strano, in effetti, nel quale ero entrato a piccoli passi nella lettura del postmoderno. Avevo letto V. di Pynchon, ma non l’arcobaleno delle gravità. Avevo letto la fine della strada di Barth ma non l’opera galleggiante. Insomma un lettore della narrativa postmoderna americana piuttosto acerbo rispetto al lettore che sono oggi e facilmente impressionabile. Leggere un racconto come piccoli animali senza espressione avendo come riferimenti culturali e letterari solo la narrativa italiana, un mucchio di francesi e russi e i classici americani faceva effetto (dopo aver letto i racconti di John Barth e Biancaneve di Barthelme… molto meno).
In effetti poi di DFW ho letto tutta la narrativa e qualcuno dei saggi giornalistici. E lo apprezzo. Dico sul serio. È uno scrittore impressionante per la mole di materia che riesce a trasfondere in ogni suo libro ed incarna, senza ombra di dubbio, il dettato del postmoderno. Credo però che, al di là della leggenda, al di là di Infinite jest e anche al di là de il Re pallido, tre siano i libri rimasti essenziali, che esprimono ancora oggi la poetica letteraria di DFW ed ossia Oblio (che contiene le tracce di quanto Wallace intendeva per tecnica narrativa “lunga” in quanto protoromanzi abbozzati in forma di racconto lungo), Brevi interviste con uomini schifosi, (prototipo della narrazione breve) e quindi la ragazza con i capelli strani, vero e proprio vademecum, manifesto o se vogliamo summa delle tematiche che DFW ha poi affrontato in Infinite Jest, ne la scopa del sistema ed infine, a quanto sembra, in the Pale King.
I temi della controcultura pop e avantpop, del ossessioni del capitalismo e dello straniamento che il capitalismo stesso ha imposto ai soggetti che lo vivono ipostatizzati in società consumistica, la depressione, la solitudine, l’alienazione culturale. Insomma tutto, ma proprio tutto DFW – come contenuto intendo – lo si trova in questa prima raccolta di racconti brevi.
È difficile sostenere che un autore abbia già scritto tutto con il primo libro ma in effetti per Wallace è così. Il resto della sua produzione o è programmatica esternazione di stile (come in Oblio e brevi interviste con uomini schifosi) o è ripetizione o se si vuole ricapitolazione, il che è identico. Non trovo nulla in Infinite Jest che già non sia stato non solo abbozzato ma anche esplorato in profondità ne La ragazza.
Ci sono scrittori che hanno molto da dire, molto da comunicare e, raramente, molto da insegnare. DFW è stato uno straordinario talento letterario che si è espresso con velocità nella vita come nella letteratura, bruciando ogni tappa fin dagli esordi. I suoi temi e la sua tecnica poetica si sono arrestati come in un limbo, consapevolmente o meno, con La ragazza con i capelli strani. E forse è anche ovvio che sia così se si riflette sul fatto che i suoi temi, i suoi argomenti, travalicano spesso la realtà con un occhio differente sulle cose così da annullarle in un ripiegamento della narrazione in pura coscienza, personale, individuale e a volte collettiva che è oltre il nichilismo. È quindi evidente come il contenuto della narrazione, in questa condizione di non vita, di non espressione, non possa che restare immutato, arrestato, fermo.
Quanto allo stile, poco vi è da dire. Mentre Oblio e Brevi interviste sono orientati ad una evidente ricerca letteraria e di racconto, verso forme nuove e originali, i racconti de la ragazza con i capelli strani sono scritti in uno stile postmoderno debitamente mutuato da Barth e Barthelme nonché da Gaddis (per chi non l’avesse notato basti leggere le prime venti pagine di Gotico Americano per rendersene ampiamente conto).
Uno stile non originale, quindi, ma eccellentemente applicato, diligentemente seguito sulle orme dei maestri da un giovane e straordinario scrittore – scolaro come Wallace che poi avrebbe mutuato altri stili come il gonzo Journalism da Hunter Thompson adottato per considera l’aragosta e per altri saggi.
Insomma un DFW, sotto questa luce, che è stato un buon diffusore di stili non propri, un esecutore eccellente più che un compositore. Un grande solista diffuso a ventaglio dall’editoria per il suo fascino da eterno giovane disincantato.
Ecco perché, a fronte di opere di mastodontica e sonnolente ricapitolazione o a fronte di altre tecnicamente di ricerca, la raccolta in oggetto brilla per la sua bellezza. È una pietra preziosa in uno scrigno variegato in cui l’oro non è tutto a 24 carati e dove è possibile trovare molto argento e persino acciaio. Una pietra che se non avete mai letto Wallace vi appagherà a sufficienza e che se lo avete letto tutto, come il sottoscritto, conserverete tra i vostri libri più importanti, scegliendola tra gli altri.
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2 comments
Onofrio Del Grillo says:
gen 25, 2012
ReplicaSono d’accordo con Marco Arcieri: un bravo emulatore, raffinato, sofisticato, di cultura, tutto quello che si vuole, ma troppo sopravvalutato. Specie da morto, e non è un caso.
Girolamo Savonarola says:
gen 25, 2012
ReplicaBella recensione: colta, erudita e chiaramente schierata. Forse un po’ troppo radicale ma ogni affermazione è molto ben argomentata, quindi ‘attaccabile’ solo tramite confutazioni parimenti erudite.
In generale, sito molto ben fatto e recensioni meditate e attente. Complimenti!