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Un racconto scritto e proposto da Luca Schivardi

 

Uno

Non sempre la vita è come te la immaginavi prima di iniziare a viverla davvero.

Nell’istante esatto in cui il futuro diventa presente, in quella frazione di secondo, perde tutto ciò che lo rendeva attraente, niente più velo di incertezza, niente più tensione verso l’imprevisto. Una vera fregatura, insomma. E la cosa peggiore è che nemmeno ce ne accorgiamo, beffati dalla nostra mediocre percezione del tempo, dalla nostra natura debole che scende a patti con l’insoddisfazione per convincerci che il nostro futuro si è realizzato in quell’insieme confusionario di finti traguardi che chiamiamo vita. E così creiamo un altro futuro, migliore del presente, per crederci capaci di una grandezza che però ancora dobbiamo realizzare. Così da poterci specchiare e vedere il riflesso di un uomo incredibile, che però è ancora latente.

Margherita non si preoccupa di tutto questo. Non si è mai preoccupata di niente, lei. Non impara dal passato, non chiede al presente, non spera nel futuro. Margherita vive, senza nessuna domanda, ed è felice. Di una felicità senza vita, una felicità vuota, l’unica che abbia mai conosciuto. Una felicità molto più onesta di quella vissuta dagli altri. Margherita si guarda allo specchio e vede Margherita. Non sempre le piace ciò che vede, però sa che è reale.

 

Due

Sono le dieci. È in ritardo. Di nuovo.

Margherita pensa che dovrebbe fargliele pagare, tutte queste attese. In fondo si dice che il tempo è denaro, e Numero Tre è un gran ladro.

Margherita si accende una sigaretta, l’ennesima, ma non importa, lei non ha mai avuto molta cura del suo corpo, la nicotina è solo una ferita in più, un graffio che diventa invisibile su una superficie martoriata. Numero Tre si arrabbierà, odia l’odore di fumo, gli ricorda che non si trova in un hotel a cinque stelle con una signora conosciuta al club, che profuma di tè inglese e Chanel, ma solo a casa della sua Margherita, che apre le gambe quando lui apre il portafoglio. Numero Tre non si accorge di come sia sottile la differenza. Non ha molta fantasia, lui.

Margherita fuma lentamente, beve il fumo fino all’ultima goccia, lo sente scendere dentro, sempre più giù, ad offuscare ciò che lei non vuole vedere. Una coperta di nebbia per nascondere tutto quello che c’è dentro. Non esce fumo dalla sua bocca. Entra e basta. Niente di ciò che c’è là sotto deve uscire. Guarda la parete dove sono appese le sveglie, decine di sveglie, tutte ferme. L’unica lancetta che si muove, in quella casa, è addosso a Margherita, il suo orologio da polso. Perché il tempo è una cosa da uomini, da corpo umano, da rughe e da gobba, da capelli che cadono o che cambiano colore, e non da parete. Una cosa da ricordi nascosti nel fumo. Il tempo non si intona alla carta da parati. Ma sulla sua pelle, ingiallita dal fumo, sporcata dalla vita, lì sì che è perfetto.

Tre

Margherita si siede sulla sedia sotto la finestra, raccoglie le gambe e senza neanche rivestirsi si accende una sigaretta. Numero Tre non protesta, ormai la fantasia è stata corrotta, l’illusione spezzata, l’odore di tè inglese e Chanel non è riuscito a sentirlo, nemmeno per un secondo.

Numero Tre è stato veloce, come sempre. Forse per recuperare il solito ritardo. Margherita sorride. Lo guarda. No, Numero Tre è veloce e basta. E probabilmente vorrebbe non esserlo. Ma a lei piace che lo sia. Le piace Numero Tre, come cliente, è uno dei suoi preferiti. Non ha richieste fuori dal comune, non ha fantasia, non ha pretese. È gentile con lei, quando la guarda sembra quasi vederla. E questo a Margherita non succede mai. Numero Tre non chiede sconti, né proroghe, paga sempre prima ancora di avvicinarsi, appena entrato, lasciando i soldi sul tavolino di vimini all’ingresso. Sarà per questo che l’illusione della signora conosciuta al club non gli riesce mai. Sì, c’è quella storia del ritardo, è vero, ma in fondo che importa, a Margherita fa comodo un po’ di tempo per nascondere nel fumo grigio le cose che non vuole vedere.

Numero Tre la guarda, il buio intorno, la sigaretta che brucia tra le sue dita gialle.

«Ti fa male tutto quel fumo»

«Non è necessario, lo sai»

«Che cosa?»

«Che ti preoccupi, che mi parli»

«Lo dico per te, è vero, ti fa male»

«La vita fa male. Ma ce la teniamo. Le sigarette restano. Dovresti andare, ora»

«Sì. Ciao, Margherita»

Numero Tre chiude la porta piano, quasi non volesse rompere il silenzio polveroso di quella casa. Margherita tira forte la sua sigaretta, guarda la punta bruciare nel buio, sente il fumo scendere giù, nel petto, nello stomaco. Lo tiene lì. Poi guarda la sigaretta, stretta tra le sue dita ingiallite, ne resta più di metà. La spegne sul bracciolo della sedia.

Silenzio.

Il cuore che batte.

«Cazzo».