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Underworld – Don Delillo

 recensione di Giorgio Michelangelo Fabbrucci

Underworld è un romanzo monumentale che pretende di essere affrontato con umiltà. Lo scrivo perché convinto che questo testo, una volta invecchiati, lo vedremo tra la ultime pagine dell’antologia di letteratura dei nostri nipoti, alla voce “Postmodernismo”; sarà presentato come un archetipo, come un modello. Delillo con Underworld è riuscito a scolpire le pagine di quello che può essere già considerato un grande romanzo americano ma anche a interpretare lo spirito della fine del secondo millennio, forgiando forse al contempo la chiave di lettura di un’epoca di cui non vediamo l’ora sia decretata (dai fatti, non dalle accademie) la fine.

L’approccio visivo con questo testo è il proemio di un’immersione totale. Un romanzo abnorme,  il cui profilo è segnato da linee nere, come luttuosi capitoli di storia e la cui copertina (stampata con la medesima immagine in tutte le edizioni del mondo) possiede qualcosa di tragicamente profetico. Una fotografia scattata da André Kertésez nel 1972 dalla finestra del suo appartamento di New York, la cui quasi totalità è occupata dalle Torri Gemelle, alla base delle quali campeggia una croce romana, installata sulla cima di una vecchia torre campanaria.

Immaginò di osservare la costruzione della grande piramide di Giza – solo che questa [la montagna di rifiuti, ndr] era venticinque volte più grande, con autobotti che spruzzavano acqua profumata sulle strade circostanti. Per Brian era una visione ispiratrice. Tutta questa industriosa fatica, questo sforzo delicato per far entrare il massimo dei rifiuti in uno spazio sempre minore. Le torri del World Trade Center erano visibili in lontananza e Brian percepì un equilibrio poetico tra quell’idea e questa.

Delillo attinge da una delle sue grandi passioni, il baseball, per plasmare l’oggetto che intreccerà le storie di due dozzine di personaggi: una pallina, protagonista dello storico fuoricampo ad opera di Bobby Thomson. Un rifiuto, oppure un feticcio, come chiave di interpretazione di intere esistenze. Un libro in “rewind”, eccezion’fatta per il prologo, l’epilogo e le vicende relative al Signor. Manx Martin, che narra a ritroso le vicende accadute tra il 1992 ed il 1951.

Il testo si apre con un incredibile racconto intitolato “il trionfo della morte” (come il quadro incontrato tra gli stralci di una rivista, a fine partita, da J. Edgar Hoover) nel quale il lettore vivrà la storica competizione tra New York Giants e Brooklyn Dodgers del 3 ottobre 1951 al Polo Grounds di New York. Leggendo questo prologo, per quanto adesso non vogliate crederci, maledirete di non essere americani. Non tanto per affezione, piuttosto per il desiderio di comprendere appieno la magistrale descrizione delle vibrazioni del campo e della folla durante la partita di uno sport pressoché sconosciuto in Italia. Nondimeno, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un disarmante esercizio di stile;  nella fattispecie sull’uso commisto del discorso diretto, indiretto; del cambio improvviso di prospettiva.

Il libro prosegue come detto a ritroso, in un intreccio fittissimo di storie e diversificati livelli di narrazione cuciti sapientemente, come il filo duro che serpeggia nella pallina da baseball. Una pallina che passa di mano in mano, di decennio in decennio, attraversando sentimenti, passioni e riflessioni con l’intento di narrare, al contempo “tenendo assieme”, i tanti tasselli che formano il mosaico di un’epoca.

Se è difficile trovare un protagonista principale tra le varie finestre narrative aperte dall’autore, è forse plausibile credere che in Nick Shay vi sia più Delillo che in altri personaggi. Da un lato è l’imprenditore dell’immondizia, l’uomo che dai rifiuti trae il proprio sostentamento e le proprie riflessioni, nonché l’ultimo possessore della famigerata palla; dall’altro a Nick è concesso di parlare in prima persona e la sua esperienza di vita, frastagliata da viaggi, incontri dal sapore religioso, passioni e relazioni familiari, fanno di questo ragazzo del bronx (come non pensare all’autore) un punto di riferimento insostituibile per tutta la narrazione.

Come sempre accade nei testi del maestro del postmodernismo, più che la trama o l’intreccio, ciò che rende potente quest’opera è una sapiente alchimia tra poetica e stile. Di certo le vicende sostengo la volontà di lettura, stuzzicando propedeuticamente la curiosità del lettore. Nondimeno il lucido e dissacrante punto di vista dell’autore, unito ad uno stile introspettivo, attuale ed attualizzante, riesce a catturare il lettore in una situazione che supera la semplice passività dell’ascolto. Perché Underworld, è soprattutto un invito, forse un’imposizione alla riflessione sul cosa sia e rappresenti la nostra epoca. Delillo pare ravvisare una relazione logica tra il nostro modo di produrre ed organizzare rifiuti ed il nostro modo di vivere le relazioni e le esperienze. La disumanizzazione dei rapporti, sempre presente nella poetica Delilliana, approda ad una consapevolezza epistemologica, individuando una simmetria tra un sistema di produzione ipertrofico e uno stile di vita sempre, inconsapevolmente vanaglorioso ed eccessivo, schiacciato dalla paura di morire, “di finire in discarica”.

Un’interpretazione che sono convinto vi vedrà concordi, soprattutto se vorrete leggere nella descrizione del Bronx, e più in generale del passato di ogni personaggio, qualcosa di più che semplice nostalgia.

Moltissimi europei parlano di questo libro relegandolo ad un’opera d’arte conchiusa nei confini degli States. Io ritengo, per quel che può valere, che Underworld sia un testo dal respiro globale e che sia riuscito meglio di altri a fotografare i sentimenti di coloro che nel mondo vivono o subiscono il fascino e l’influenza del sistema di produzione occidentale.

Underworld scavando nei rifiuti è riuscito a spiegare i nostri sogni, le nostre paure.

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Giorgio Michelangelo Fabbrucci
[email protected]
 

Author: Giorgio Michelangelo

Giorgio Michelangelo Fabbrucci (Treviglio, 1980). Professionista del marketing e della comunicazione dal 2005. Resosi conto dell'epoca misera e balorda in cui vive, non riconoscendosi simile ai suoi simili, ha fondato gli Alieni Metropolitani... e ha iniziato a scrivere.

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7 Comments

  1. Complimenti per la recensione: dal tenore usato e dalla profondità della tua analisi sembri parecchio ferrato su DeLillo. Non ho mai letto nulla di suo ma la tua recensione mi ha incuriosito e stimolato: come esordio mi consigli “Underworld” o qualche altra sua opera? Grazie in anticipo per i preziosi consigli.

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  2. Caro Girolamo, grazie per il tuo generoso commento. In forza del “Memento Mori”, ti consiglierei “Rumore Bianco”. Un grande romanzo, che contiene tutta la poetica di Delillo, approfondendo però la tematica della paura della morte, tanto cara alla nostra civiltà contemporanea; a tal proposito anche “L’uomo che cade”, più attuale, può essere un ottimo inizio. Nondimeno, se hai intenzione di approfondire lo studio di questo autore, partire dal suo primo testo “Americana”, può darti la soddisfazione di apprezzare l’evoluzione di uno scrittore che, sono convinto, sta facendo la storia della letteratura.

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  3. Grazie davvero per i tuoi preziosi consigli: credo comincerò con “Rumore Bianco”, mi hai incuriosito molto. Uscirà la recensione anche di quello?

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    • https://raccontopostmoderno.com/2011/05/don-delillo-rumore-bianco-white-noise/ A questo indirizzo trovi una recensione di Irene Bignardi su “Rumore Bianco”. Era già presente nei nostri archivi e quindi non lo tratteremo in questo speciale. Di certo ne parleremo di nuovo nei prossimi mesi.

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  4. Anch’io sono interessata a Rumore Bianco. L’ho letto quest’estate ma penso che mi sia sfuggito qualcosa perchè non l’ho trovato così “superiore” rispetto ad altri libri di Don Delillo che ho letto. Comunque sia, grandi Alieni per questo speciale! Finalmente c’è qualcuno che tratta di questa letteratura in maniera “organica” e con competenza. Non come spot di libri di cui “bisogna parlare”, come si legge da tante altre parti. Bravi. Alexy

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    • Grazie Alexy per il tuo commento. In effetti non è facile scegliere un titolo rispetto ad un altro nella bibliografia di Delillo. Rumore Bianco a mio modesto avviso ha il merito di aver svelato, con grandissima originalità, la grande paura che soggiace in ogni turbamento della nostra epoca. Una situazione squisitamente contemporanea, che nella metafora della Nube Bianca, trova una raffigurazione pertinente ed efficace al contempo.

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  5. Ho finito di leggerlo da pochi minuti, ma ho dovuto fiondarmi in rete per cercare qualche recensione valida, come se avessi il bisogno di rivederlo in forma compressa. Grazie dunque per la tua valida recensione/commento, che mi ha aiutato come un buon digestivo dopo una cena sontuosa ma per mangiatori esperti. Un libro difficile, difficilissimo. Un libro come pochi, meraviglioso e spesso inafferrabile, per un pubblico che non sia estremamente colto, e probabilmente meraviglioso per la propria immensità e bello perché fonte inesauribile di riflessioni, anche quando certi argomenti sono apparentemente lontani dal lettore. E certamente è un libro da leggere più di una volta, soffermandosi il più possibile ai minimi dettagli, perché uno scrittore come Delillo vale la pena di essere spulciato da cima a fondo. Un saluto

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