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Libra – Don Delillo

recensione di Marco La Terra

Qualcuno di voi sa dirmi chi era Lee Harvey Oswald?”

Signore, è quello che ha ucciso Kennedy, signore!”

E sai dirmi da quale distanza l’ha ucciso?”

Signosì, da parecchio lontano, perché il palazzo era in un magazzino di libri signore!”

Silenzio, basta così. Era lontano 85 metri. Era a 85 metri di distanza e sparava a un bersaglio in movimento. Lee Harvey Oswald ha sparato tre colpi con un moschetto italiano di vecchio tipo in sei secondi soltanto, con ben due colpi a segno di cui uno alla testa (…)”.

Se DeLillo leggesse questa breve sceneggiatura, riscontrerebbe non poche discrepanze rispetto alla ricostruzione storica offerta nel suo Libra (1988), nel quale l’Autore riesce a compendiare il proprio stile letterario, molto originale ed in questa sede, più che mai, eclettico e fluido, con l’amore per la verità storica, cui fa da contraltare, per necessità, un rigore metodologico e uno studio delle fonti senza precedenti. Libra è un romanzo sofferto, non solo per la tragicità degli eventi narrati e la complessità della tecnica narrativa adottata, ma soprattutto per l’immensa attività di studio e ricerca che vi è dietro.

Sul piano della narrazione, DeLillo elabora la voce di un soggetto onnisciente, che descrive lo svolgersi degli eventi incarnando, a seconda della situazione, il punto di vista di Lee Oswald ovvero del gruppo di cospiratori castristi e/o anticastristi che, a vario titolo, parteciparono agli eventi di Dallas ovvero ancora, con un salto temporale di trent’anni, immedesimandosi in Nicholas Branch, un archivista della CIA con l’ingrato compito di redigere un dossier sul caso JFK, nella segretezza più assoluta. Se le giornate del Dott. Branch sembrano trascorrere in modo uniforme, ovattato e surreale, l’effettiva vicenda storica traluce dalle palpebre di Lee Oswald e degli altri cospiratori, grazie a frequenti cambi di prospettiva che offrono, nell’insieme, una visione a tutto tondo della vicenda.

Come accennavo all’inizio, il pensiero del Sergente Maggiore Hartman non rispecchia la verità storica descritta da DeLillo.

Innanzi tutto, non vi è certezza che sia stato Lee Oswald a colpire mortalmente JFK, non essendo l’unico cecchino presente a Dallas, quel 22 novembre. In secondo luogo, è storicamente provato che Oswald fosse ben lontano dall’essere un tiratore implacabile: al di là degli altalenanti risultati ottenuti al poligono, durante il servizio militare, il 10 aprile 1963 Oswald attentò alla vita del Maggiore Edwin Walker, sparandogli da posizione molto favorevole.

Lo mancò, clamorosamente.

Gli ‘addetti ai lavori’ lo sapevano: Lee Harvey Oswald non era un cecchino affidabile. Nonostante questo, venne assoldato da forze colluse con l’Intelligenceamericana (o forse, sarebbe meglio dire dall’Intelligence americana) per compiere un gesto di importanza storica incalcolabile: uccidere JFK, un simbolo, più che un uomo.

Un mito.

Un’idea.

Come mai venne scelto Oswald?

Più correttamente bisognerebbe chiedersi: chi era Lee Harvey Oswald?

La risposta a questa domanda, ancora oggi incerta, per DeLillo risiede nel titolo del suo romanzo: ‘Libra’, la Bilancia.


« Quando è il tuo compleanno?

Il diciotto ottobre, rispose Lee.

– Libra, la bilancia.

– L’equilibrio.

La notizia parve fornire loro tutte le informazioni di cui avevano bisogno. […] Quelli della bilancia. Alcuni sono positivi, padroni di sé, equilibrati, con la testa a posto, saggi e rispettati da tutti. Altri invece sono negativi, cioè piuttosto instabili, impulsivi. Tanto, ma tanto, ma tanto influenzabili. Propensi a spiccare il salto pericoloso. In entrambi i casi, la chiave è l’equilibrio. »

Durante l’intero arco della narrazione, Oswald viene presentato nella sua nuda umanità, totalmente spoglio da quei crismi che la spasmodica ricerca di una verità storica gli ha attribuito, talvolta in maniera forzata. Un ragazzo sfortunato, cresciuto senza padre e con una madre mentalmente disturbata, complessato a causa di enormi carenze affettive ed una congenita dislessia, che trova il proprio equilibrio esistenziale nello studio del Marxismo, visto come unica occasione di elevazione sociale. Lee vuole emergere, distaccarsi dal volgo, che reputa ignorante e stupido, e finalmente affermare la propria personalità, da sempre repressa e incompresa.

Per ottenere questo risultato, Oswald è disposto a tutto: di fatto, abbandona la moglie, allontanandosi dalle figlie (una addirittura in fasce); disprezza prima gli Statu Uniti, in seguito la Madre Russia, dimostrandosi un individuo senza bandiera, privo di etica, spoglio di sentimenti radicati. Un individuo fragile e disturbato, che trova l’equilibrio nella cieca volontà di affermare il proprio mito.

Un equilibrio che si regge su fragili cristalli di vetro, comunque sufficienti per “spiccare il salto pericoloso”.

Considerato il piano che altre persone, ben più in vista di Lee, hanno, Oswald è perfetto: malleabile, sradicato, pazzo e supponente. Intriso di irrazionale rabbia assassina, ma tristemente solitario. Pericoloso e molto vulnerabile, allo stesso tempo.

Oswald viene usato da altri cospiratori, i veri ideatori dell’omicidio Kennedy: questo afferma DeLillo. La Storia usa Oswald per scrivere una pagina indelebile ma, come spesso capita in queste situazioni, l’accesso all’immortalità richiede un tributo di morti violente, spesso crudeli, all’apparenza prive di logica.

La Storia usa Oswald e ne consacra il nome, nei decenni a venire: gli regala l’immortalità cancellandolo dalla scena grazie a un altro reietto, Jack Ruby. Anch’egli psicolabile, solitario, vulnerabile: per certi aspetti, magistralmente focalizzati da DeLillo, un alter ego di Lee, un sosia perfetto, il solo a poter ricondurre il delirio di quelle giornate folli a un nuovo equilibrio.

Un equilibrio fragile, impalpabile, di facciata. Un’apparente stasi dietro cui, negli anni successivi, delitti irrisolti e morti inquietanti avrebbero arricchito un quadro sempre più fosco, contorto, irrisolvibile.

Sono passati cinquant’anni, oramai, ed il lettore moderno, incarnato dall’archivista della CIA, Nicholas Branch, continua a vagare alla perenne ricerca della Verità, eternamente sbeffeggiato dalla Storia. Un indomito Don Chisciotte: ostinato, coriaceo, sconfitto.

L’epilogo di Libra lascia un inevitabile, e più che giustificato, senso di perdita: affettivo, razionale e storico.

Un libro che lascia il segno ed una prova di carattere, da parte di De Lillo, di notevole spessore.

Non solo scrittore, né semplice storico.

Una prova di carattere e di notevole coraggio: chapeau.

___

Marco La Terra
[email protected]

Author: Marco La Terra

Marco La Terra, classe 1977, vive il senso di alienità dell’epoca infausta in cui è recluso in modo viscerale e sofferente, cercando di rintracciare in tutto ciò che è “altro da sé” una forma spuria di logica superiore.

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