un racconto di Ilaria Bonfanti
“Semplicemente, vorrei non innamorarmi di te”.
Sono giorni che la ragazza tatuata si domanda cosa diamine voglia dire.
Lui le piace sul serio; lui beve aranciata amara e, diciamocelo, non se ne vede uno in giro dagli anni ’90. Lui ha dei terribili pantaloni scozzesi in lanetta che lei adora: la prima sera che l’ha invitata a casa sua li indossava senza vergogna. Non sa bene se sia stato in quel preciso istante o qualche ora dopo, fatto sta che fu quel giorno che capì di volerlo vicino a lei.
Lui spende un sacco di soldi in vinili ma li ascolta davvero: ha un appartamento vicino alla stazione di Lambrate eppure è come se ogni volta salisse le scale di un monolocale a Manhattan.
Lei è tutta tatuata. Nemmeno si ricorda come ha iniziato, nemmeno si ricorda quanto le sia mancato qualcuno che le dicesse NO.
Lui le dice no in continuazione; lui è di media altezza, magro da far impressione, pallido in viso e con quella stempiatura pronta ad assicurarti che no, non si fermerà.
Lei è bella. Ma bella davvero, bella che ti fermi a guardarla da quanto ti manca il respiro.
Sempre la solita solfa. Sempre quel tipo interessante alla Woody Allen che non si trattasse di un film, o di un racconto o di qualsiasi altro prodotto della fantasia, non calcoleresti di striscio.
Può darsi, fatto sta che lei se n’era proprio innamorata.
Di “no” non ne aveva mai ricevuti in vita sua, ma non era tanto quello. I “no” aveva imparato a dirseli da sola: no a quella bellezza effimera, no alle scorciatoie, no a quella resa apatica degli amici di sempre: pronti a lottare contro mulini a vento per poi riposarsi stanchi su divani sgualciti e bong pieni d’erba.
Tatuaggi e marjuana. Destreggiarsi tra i luoghi comuni di questa storia pare un’impresa titanica.
È che Lei lo guarda perdere le chiavi di casa, mettersi scarpe spaiate senza accorgersene, inforcare la bicicletta in pieno inverno, bardarsi come farebbe un senzatetto per le strade di Budapest; e più lo guarda più capisce che è l’unica cosa che la rende felice.
Lei ci sa fare: con gli uomini, con l’etichetta, con i venditori porta a porta, con i discorsi fatti giusto per non lasciare tempi morti. Lei è stanca di saperci fare. Per questo si è fatta mille tatuaggi, ma non importa perché è talmente delicata che nessuno pare farci caso.
Lei si è laureata con la lode; Lui no, ha giusto finito il liceo ma conosce molte più cose: sa il nome del presidente della repubblica del Congo e dove si trova lo stato di Nauro; sa il perché delle cose e le racconta come mai la melanzana si chiama così. Suona la chitarra (e non il basso come tutti gli amici di lei), ma la suona sul serio, non scarica le tablature da internet.
Lei sa raccontare storie e Lui lo sa che nessuna le racconta come Lei.
La conclusione della storia si avvicina e così anche i luoghi comuni e, le briciole per trovar casa si vanno perdendo come le miriadi di lieti fini privi di sostanza. Forse Lui non risponderà ai messaggi di Lei che smetterà di chiamarlo, forse saranno solo capaci di pensare quanto bello poteva essere proprio perché non è stato.
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18 dicembre 2011
Molto carino questo racconto. La semplicita’ spesso paga. Bello.
2 febbraio 2012
“Suona la chitarra (e non il basso come tutti gli amici di lei), ma la suona sul serio[…]” è incredibilmente bello e terribilmente “reale”…Il pensiero scorre verso ricordi lontani, verso amicizie vicine e ancora molto forti. Sì, il mio pensiero va ad un’amica che sta rinascendo e sta guardando un poco più in là dei soliti uomini amabili e bastardi. Grazie. B