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Pubblichiamo il commento della Nostra Raffaella Foresti al saggio di Francesco Pacifico dal titolo “David Foster Wallace, cosa leggere per orientarsi nell’universo dello scrittore del Re Pallido” presente sulle pagine di Rivista Studio.

Caro Francesco,

ho letto con molto interesse il tuo brillante articolo e vorrei condividere alcune considerazioni. Innanzitutto mi presento come lettrice appassionata di Wallace, ma anche di DeLillo, Bolano, Pynchon, McCarthy e  Roth. Cos’hanno in comune questi scrittori? Di essere gli unici (o comunque i migliori) scrittori contemporanei, con scrittori contemporanei intendendo coloro che siano stati in grado di raccontare, letterariamente parlando, la condizione esistenziale (individuale e collettiva) degli anni che stiamo vivendo. Ognuno a suo modo, s’intende, ma tutti con una grande grande scrittura.

Venendo al merito dell’articolo, pur condividendo molta parte del suo contenuto, mi scopro in disaccordo proprio sulla premessa. Perché creare “delle informazioni di servizio per aiutare gli indecisi”?

La lettura, a mio parere, nasce essenzialmente da due elementi: la passione e la curiosità, in un rapporto per cui l’una alimenta l’altra. Questa guida, temo, irriterà non poco i noti “wallaciani convinti” così come farà gioire i loro “nemici” i quali per lo più – sono d’accordo con te – non contestano tanto lo scrittore quanto il fanatismo che quest’ultimo spesso genera nei suoi lettori.

E gli indecisi? Resteranno nella loro indecisione, ahimè. Perché ritengo che non ci si possa svegliare dalla sera alla mattina ad affrontare Wallace (così come gli altri cosiddetti scrittori postmoderni) senza aver letto Melville, Faulkner o Twain, tanto per restare negli amati-odiati USA, né senza avere una (quanto più possibile) completa formazione letteraria classica.

Il postmodernismo secondo me è un passaggio obbligato per chi, dopo aver letto Tolstoj, Balzac o Verga, senta il bisogno di cercare lo stesso valore letterario nella contemporaneità. Io l’ho trovato negli autori che ho citato sopra. Altri, forse, lo troveranno altrove. Ma se la ricerca non nasce da un bisogno individuale, da curiosità e passione, come le scrivevo poc’anzi, temo rimarrà vuota e sterile.

Riguardo a DFW, infine, mi limito ad esprimere un solo concetto. É vero quanto afferma Martin Amis – “quando diciamo che amiamo uno scrittore, intendiamo che amiamo al massimo metà della sua opera” – ma è vero anche che, spesso, quella metà dell’opera che amiamo “ci riempie” per intero. Nel caso di Wallace potremmo anche limitarci (paradossalmente, per spiegare il concetto) ad ottanta pagine. Ottanta pagine che non devono essere lette da sole, estrapolate dal contesto (giammai!), ma che infine ci restano dentro e ci soddisfano pienamente. Da leggere e rileggere tanto da faci pensare, arrivati all’ultima pagina, con un pizzico di malinconica, che ne valeva veramente la pena.

Grazie per questo spazio e per questa singolare ma bella occasione d’incontro.

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