un racconto di Marco La Terra
“…con le presenti disposizioni testamentarie, tutti i miei beni, esistenti nell’asse ereditario al momento del mio decesso, avvenuto in data 14 giugno 2010, ‘manu propria’, sono così destinati: (omissis).
Con riferimento agli aspetti non patrimoniali concernenti la mia persona: 1) acconsento alla donazione degli organi (cervello presumibilmente escluso, date le modalità della mia dipartita); 2) rigetto categoricamente ogni forma di commemorazione della mia persona, rifiutando adesso, e per l’avvenire (ah! ah! ah!), funerali, messe cantate, rosari, madonne e religiosità varie. Dopo l’espianto degli organi, il mio corpo dovrà essere cremato, e le ceneri disperse in mare, in località (omissis).
In fede e completa sanità mentale, appongo firma olografa”.
Mi pareva di essere stato chiaro, esplicito, diretto. Anche per i più rimbambiti. Rigetto categoricamente eccetera.
Non volevo funerali, né cristi, né madonne. Né manifestazioni di ignoranza primitiva. Volevo semplicemente morire in santa pace, spararmi un colpo in testa e buonanotte ai suonatori. Mi avevano diagnosticato una malattia contro cui non c’era nulla da fare, quindi perché soffrire? Perché affrontare una lotta persa in partenza?
Giusto o sbagliato, è andata così.
Il punto della questione, adesso, non è il mio suicidio, cazzo.
Il nodo gordiano della faccenda è che qui c’è un morto che parla, ma che nessuno ascolta. Che non è mai stato ascoltato, a onor del vero. E se non è stato considerato da vivo, figuriamoci da morto!
Chiaro no? Il vero problema è che i vivi o presunti tali, che hanno raccolto le mie disposizioni di ultima volontà, redatte con estrema precisione proprio perché sarebbero finite in mano ai miei parenti, baciapile fino all’esasperazione, non hanno capito un cazzo.
O non hanno voluto capire. Il che è pure peggio.
Tanto per cominciare, scatola cranica a parte, i miei organi ci sono tutti: cuore, fegato, milza, polmoni. Tutto quanto al suo posto. Con l’unica differenza del cuore, che giace silenzioso e dimesso, licenziato per sempre dalle vicende della vita.
È strano.
Mi trovo rinchiuso in questa cassa di legno, con le braccia giunte a croce, sul petto: i palmi delle mani, freddi anch’essi, giacciono sul mio sterno, duro ed immobile come una lastra di marmo.
Non che ci sia molta differenza con taluni ‘presunti vivi’, intendiamoci, però è strano uguale.
In secondo luogo (e conseguentemente direi), non è stato esaudito il mio secondo desiderio: la cremazione.
Niente.
Mi verrebbe voglia di urlare dalla rabbia e dalla frustrazione ma, rinchiuso in questa cella d’acero, dalle pareti spesse e levigate, insonorizzate (perché poi?), non mi sentirebbero nemmeno i vermi che camminano nella terra, qui attorno, poco distanti da me.
Due desideri avevo espresso! Due di numero! Ma loro no! Sepoltura e inumazione!
E poi guarda, cristo di un dio, come mi hanno conciato!
Indosso l’abito del mio matrimonio, il gessato grigio – fumo che non ho più messo negli ultimi 15 anni, dopo che la mia ex moglie mi ha piantato in asso per scappare con l’idraulico.
Sì, l’idraulico! Il classico cliché. Il luogo più comune dei luoghi comuni.
L’idraulico cazzo.
Mi raccomando, stai attento a lasciarlo solo con tua moglie, chissà cosa combinano quei due: così dicevano i miei amici, per ridere.
Non è normale che a casa tua ci sia sempre il rubinetto che perde ed il bagno sempre allagato.
Beh! Avevano ragione! Alla fine, dopo l’ultimo episodio, sono rientrato a casa e l’ho trovata vuota, per di più con la beffa di un bagno, questa volta sul serio, allagato come non mai.
Vabbè, vita vissuta direi.
Ciò non toglie che i miei parenti si siano rivelati dei campioni di insensibilità, che diamine! Tanto lui è morto, mica se ne accorge come l’abbiamo vestito, avranno pensato. L’unico abito buono che gli è rimasto è questo qui, dopo tutto.
Che infami!
E adesso cosa diavolo succede? Cos’è questo brusìo?
“Siamo qui riuniti per celebrare l’ufficio funebre di (omissis), marito esemplare, prematuramente scomparso perché così ha voluto Nostro Signore, richiamando nell’altro dei Cieli quest’esempio di moralità e di virtù…”
Ecco, ci mancava anche il bacherozzo adesso! Parla di me come se mi conoscesse, una specie di amico di vecchia data! Ma sì! Facciamo un bel brindisi alla morte con boccali di vino rosso ed ostie benedette!
A sostegno della verità, in questo posto dove nessuno mi può sentire, meglio fare qualche precisazione:
“Marito esemplare”: facile esserlo se la moglie ti pianta in asso.
“…perché così ha voluto Nostro Signore”: ho preso il porto d’armi, per l’occasione. Non ho incontrato spaventapasseri in barba, tunica e sandali, da cui comprare illegalmente una Magnum.
“…esempio di moralità e di virtù”: beh, parecchie donne non sarebbero d’accordo, secondo me.
Davvero, la mia commemorazione funebre, ufficiata con rito religioso per di più, è qualcosa di inascoltabile! Se avessi uno stomaco funzionante credo che rimetterei il pranzo che non ho consumato, nella speranza di allagare la bara, soffocare nel mio stesso vomito, e magari morire un’altra volta, per non sentire simili idiozie. Dio mio che nervi! Riescono a far incazzare anche un morto!
E adesso cosa diavolo succede?
“ (omissis) è sempre stato un collega di lavoro esemplare, preciso nelle consegne e negli incarichi da svolgere. Una persona solare e semplice, aveva una parola buona per tutti ed era sempre disponibile ad aiutare il prossimo. Mi mancherà”
“Non ci sono parole per descrivere la luce che (omissis) instillava nei cuori altrui: sempre allegro e gentile con tutti. Rispettoso, cordiale, discreto. Una perdita incalcolabile”
“Una persona rara e preziosa: ciao”
Aiuto! Fateli smettere!!! Che cos’è? Il mio funerale o una riunione di idioti? E perché nessun parente ha preso la parola per commemorarmi? Solo questi tre soggetti, di per sé assolutamente anonimi, per dire qualche frase di circostanza sul sottoscritto.
Eppoi chiariamola questa faccenda, una volta per tutte, in nome di questa fantomatica verità:
Al primo ho scopato la moglie, un torrido pomeriggio di agosto di qualche anno fa. Lui aveva portato i loro figli al mare per il week – end, lei era rimasta a casa, tutta sola. Con l’emicrania, a suo dire. Sì, l’emicrania. Un’autentica purosangue insaziabile, per tutti i diavoli!
Non so perché, ma in questo preciso istante immagino il marito a capo chino, contrito sulla mia tomba, mentre pronuncia queste parole, curvo, ingobbito e, in maniera credo inconsapevole, schiacciato dall’enorme peso che grava sulla sua testa.
Al secondo ho scopato la figlia, nel cui corpo non ho instillato luminosità e gioia, direi più che altro la parte migliore di me.
“Rispettoso”? Dipende. “Discreto”? Per coltivare intrallazzi e avventure clandestine, specie se il padre della tua amante è il tuo capo, la discrezione è d’obbligo. “Una perdita incalcolabile”? Sembra la figlia a parlare, che diamine, non il padre.
La terza l’ho scopata giusto un paio di settimane fa, poco prima che mi diagnosticassero l’inevitabile. Appena ho appreso la notizia ho abbandonato tutti, lei compresa, senza dare spiegazioni. Mi sentivo di fare così, inevitabilmente.
Esilio volontario dal consorzio umano.
È strano quando ti dicono che non vivrai per molto, che la morte è lì ad attenderti con la sua tunica, nera come la notte, la falce affilata e quel ghigno stampato in faccia, pronta a riprendersi ciò che la vita ha regalato, tempo addietro.
Comunque sia, è andata così.
Resta il fatto che la buffonata messa in scena al piano superiore non mi sta piacendo per nulla, quindi sapete che vi dico? Anche con mezza testa spappolata, ora mi alzo in piedi e vado a farmi una bella fumata, magari anche una birra ghiacciata, alla faccia di questa manica di ipocriti!
Morto sì, ma più vivo di loro.
Il defunto scioglie le braccia dall’intreccio che sa di morte, sopra il suo petto. Mentre solleva il coperchio della bara, dopo spinte disperate che gridano aria e vita, i presenti impallidiscono increduli, strabuzzando gli occhi entro smorfie tragicomiche.
Qualcuno impreca, tra sé e sé, nel vedere il cadavere in quest’abito scuro, striminzito e lacero, levarsi in piedi e guardare i vivi col suo unico occhio brillante: metà della testa non esiste più, saltata per aria con un colpo di pistola. La parte destra dell’encefalo è completamente scoperta, e brandelli bianchicci di cervella gelatinose ondeggiano sinistramente al lento muoversi del capo. La pelle verdastra è maculata sugli zigomi, ruvida, screziata, del tutto assente sulla cartilagine del naso, in chiaro stato di decomposizione.
Il cadavere si alza dalla fossa, si erge in piedi in tutta la sua statura: col sole che muore alle sue spalle, gli abiti laceri e i capelli corvini, in perenne disordine, sembra un bizzarro spaventapasseri, in grado di annichilire la morte stessa.
Dopo aver messo a fuoco tutti i presenti, con fatica per l’avanzare delle tenebre e l’esistenza di un solo occhio buono, sputa per terra in segno di disprezzo: un unico, grosso, denso grumo di saliva verdastra, in sfregio all’ipocrisia dei vivi.
Con gesti lenti, studiati e compassati pone la mano al taschino di quel ridicolo abito. Estrae un sigaro e si ferma ad osservarlo, estatico e contemplativo.
Avanza lentamente e i pochi intervenuti al funerale, frastornati e privi di vita, si aprono a ventaglio, come due ali di un uccello in volo, per consentire al defunto di avanzare e andarsene.
Il morto si allontana dalla piccola folla ipocrita dove il prete, brandendo un’enorme croce sopra le teste dei presenti, cerca ricacciare nel Regno del Silenzio l’incubo, o la dolcezza, di una verità eloquente, cruda. Per questo scomoda.
Il cadavere non vede né ascolta più nessuno: supera la folla senza trovare ostacoli, avviandosi lungo la strada maestra. Lineare, serena e solitaria. A un tratto si ferma, porta il sigaro vicino al suo unico occhio. Lo osserva.
Nuoce gravemente alla salute, forse non dovrei fumarlo, pensa l’uomo.
Una risata che sa di liberazione fuoriesce dalla sua bocca, priva di lingua e dai denti marci.
Un cerino. Il fuoco. La luce.
Pone il sigaro alle labbra ed ispira a pieni polmoni il suo amato tabacco.
La vita. Di nuovo. Finalmente.
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13 dicembre 2011
Bellissimo racconto. Il protagonista “in esilio volontario dal consorzio umano” è molto ben caratterizzato, ti sembra di conoscerlo. E’ veramente vivo!
13 dicembre 2011
Ti ringrazio Anna. Il mio obbiettivo era proprio quello: creare un personaggio fisicamente morto, spiritualmente vivo, addirittura piu vivo degli esseri umani in carne ed ossa. Sono felice se mi ci sono avvicinato!
13 dicembre 2011
Che dire, sembra quasi di conoscerlo questo personaggio anche se quello che ho in mente io difficilmente lo potresti definire “solare”… Grande Marco! E’ tutto così ben rappresentato che ad un certo punto mi sono guardata attorno per capire chi era quella signorina che singhiozzava alle mie spalle.
13 dicembre 2011
Ti ringrazio Elena, lusingatissimo.