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Il complotto contro l’America – Philip Roth

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Philip Roth è un narratore robusto, che si muove sicuro sulla pagina nella costruzione di Romanzi Americani. È una scrittura, la sua, a cui ci si affida certi di non rischiare di incappare in defaillance; il racconto è coeso, senza elementi lasciati a sé: sono tutti ripresi nel corso della storia.

E la storia è questa: Roosvelt non è eletto per il terzo mandato presidenziale e al suo posto occupa la Casa Bianca Charles Lindbergh. Un’ipotesi controfattuale, un what if che devia la storia dal suo binario familiare e conosciuto è il pretesto per riflettere sull’americanità, sul mosaico culturale che la compone, sui valori che la caratterizzano. Con Lindberg alla presidenza gli Stati Uniti si alleano con la Germania nazista e iniziano a mettere in atto strategie potenzialmente antisemite, costringendo gli ebrei al trasloco in Paesi a prevalenza cristiana per disinnescarne il potenziale elettorale e per eliminarne la forza di coesione etnica.

Il racconto di Roth è filtrato dallo sguardo del piccolo Philip, ebreo di Newark, anche se il narratore è più adulto e consapevole. L’universo mentale dei bambini, le paure ancestrali e lo spirito tragico che li caratterizzano sono perfettamente delineati, così come la custodia gelosa dei piccoli tesori, le antipatie viscerali e lo sforzo di comprensione del mondo adulto.

In quello che ha il respiro e la struttura di un romanzo storico l’unico elemento postmoderno è l’artificio controfattuale, che pure rientra quando la Storia è riportata al suo binario conosciuto, nel momento dell’attacco giapponese a Pearl Harbor: dunque la creazione di un universo testuale alternativo non ha conseguenze nel mondo reale, non crea una realtà parallela viva solo nella mente del lettore. Il complotto contro l’America crea solo una variazione di qualche anno, al termine della quale tutto torna com’era, com’è stato, come abbiamo imparato a sapere che è.

Il racconto è un pretesto per indagare la possibilità dell’America, finanche dell’America, di agire in un modo che non è il migliore fra quelli possibili, e tuttavia la portata della riflessione è depotenziata: l’unica spiegazione data – una di quelle possibili, nel testo, ma l’unica espressa – è quella del ricatto di Lindbergh da parte dei nazisti, che lo avrebbero costretto al tradimento degli ideali costituzionali attraverso il rapimento del figlio. E poi che tutto torni come era giusto che fosse, con Roosvelt ancora insediato a Washington e con il sacrificio statunitense in difesa degli Ideali, sembra tradire la fiducia del lettore, che scopre di essere stato guidato, in fin dei conti, lungo le pagine di una apologia degli Stati Uniti, esattamente come in Pastorale americana, in cui tutti, nonostante tutto, si riuniscono attorno a un tacchino ringraziando di essere americani.

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una recensione di Carlotta Susca
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Author: Alieni Metropolitani

Gli Alieni Metropolitani non cercano soluzioni. A volte ne trovano… é irrilevante. Appartengono alla Società e con sguardo consapevole ne colgono l’inconsistenza. Non sono accomunati da ideologia, religione o stile di vita ma da una medesima percezione del mondo. Accettano i riti della vita, riuscendone a provare imbarazzo. Scrivere! Una reazione creativa alla sterile inconsistenza del mondo.

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