Ammetto che, prima di affrontare questo romanzo, ero tutto preso da un pregiudizio. Un romanzo sull’eroina, scritto da una giovanissima scrittrice, nel 2010. Una riscrittura di Christiana F.? Forse una rielaborazione maudit del Pasto Nudo? Insomma, confessiamolo, ne abbiamo un po’ piene le palle di questi romanzi sulla degradazione, sulla droga. Pagine e pagine di gente fattissima che nemmeno negli anni ottanta… e poi, certamente, il classico stupro violento, le rapine, i piccoli furti. Leggo dal risvolto di copertina: addirittura un rapimento. E di una bellissima e dolce francesina a Roma per l’Erasmus.
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Insomma alla fine il libro è rimasto nello stipo delle letture future fino a qualche giorno fa. Mi stava antipatico. Ecco tutto.
Alla fine l’ho letto e devo ammettere che mi sbagliavo, come quasi sempre accade con i pregiudizi.
Il romanzo della Lattanzi (il suo primo romanzo, oltretutto, il che amplifica la mia ammirazione) non solo è ben scritto e letterariamente interessante, ma ha un contenuto inaspettato.
Innanzitutto la struttura è molto raffinata. Un articolato mix di italiano e dialetti vari ben composti in dialoghi credibili e a volte divertenti.
I capitoli non sono storici e lineari ma la storia di Nikita e di Pablo, gli involontari protagonisti, è narrata in modo complesso e nutrito di interessanti analessi che permettono una chiara visione della loro crescita intellettiva ed umana. Un romanzo umanista, dunque, fondato sulla struttura del linguaggio. Mai scontato, mai banale.
La storia stessa è minima e tirata all’inverosimile, quasi solo un pretesto per raccontare la vita di un tossicodipendente di eroina negli anni duemila. Purtroppo non molto diversa da quella di un suo consimile degli anni ottanta, quando l’eroina era peste e nessuna preghiera riusciva a debellarla.
Ma la bellezza inattesa di questo romanzo è proprio questa. L’essere riuscita, la Lattanzi intendo, a raccontare tutto questo (e gli ingredienti, quelli che fondavano il mio pregiudizio ci sono tutti…) al di fuori dell’atmosfera da peste manzoniana che normalmente ci aspettiamo davanti a storie di questo genere. Non c’è redenzione, non ci sono eroi, non ci sono preghiere metafisiche. Nel libro troverete la realtà, spesso dimenticata, dell’esperienza dell’eroina, dell’Aids, dell’Epatite C nel 2000, epoca in cui tutto viene dimenticato tra una serie televisiva e l’altra. Senza compromessi, senza indulgenza.
L’approccio dei personaggi alla droga ed alle sue conseguenza inevitabili non è paragonabile a quella dei tossici degli anni ottanta, quando ancora esisteva la vergogna, quando ancora si provava pietà.
Il romanzo della Lattanzi narra una storia contemporanea, portandosi dietro tutte le indifferenze che quest’epoca che viviamo sembra caratterizzare.
E personalmente, leggendolo, ho provato un enorme sentimento di pietà. Ma stranamente non per i protagonisti. Per noi tutti, in effetti.
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una recensione di Marco Arcieri [email protected]
