Racconto di Thomas Ticci
Hanno appena valicato il passo. Stanotte si sono mossi spesso. Dovevano essere due gruppi. Uno di cinque, forse sei elementi. L’altro più piccolo. Li ho osservati bene dall’alto della scogliera, il cielo notturno gocciolava di luce bianca e si distinguevano le sagome che marciavano tra gli arbusti più bassi. Si nascondevano. Li ho seguiti fino alla spiaggia dove la risacca ha praticato un’insenatura da cui passa una persona appena alla volta. Arrivati a quel punto non si può che proseguire o tornare indietro. Li ho preceduti di un paio di chilometri e nell’attesa ho aperto una di quelle scatole di latta che usano portarsi dietro. Odio il sapore del loro cibo.
Poco prima che albeggiasse ho intravisto nitidamente tre sagome, seguite qualche minuto dopo dalle altre sette. Il fetore che emanavano quei corpi arrivava fino a me sospinto dal vento. Neppure l’odore del mare riusciva a nasconderne la putrida marcescenza della morte che quegli esseri si portavano appresso. Incedevano su passi lenti e irregolari. Quelli davanti mostravano un vigore maggiore e rapidi movimenti della testa in direzione di ogni rumore. Dietro una massa informe li seguiva come ipnotizzati. Camminavano sulle loro stesse impronte. Non credo lo facessero per nascondere il loro vero numero, sono esseri stupidi che percepiscono il pericolo solo quando ci sbattono contro.
Quando hanno attraversato metà della spiaggia quello in testa ha fatto un gesto e subito si sono fermati. Si sono raccolti in un solo gruppo. Adesso, oltre alla loro puzza, emettevano continuamente dei rumori. Forse il loro modo di comunicare, per spiegare agli altri cosa stavano facendo e cosa avrebbero dovuto fare.
Quando ormai il sole era già alto ho cominciato a scendere dal versante opposto. Ho fatto in fretta per non rischiare di perderne di vista qualcuno e infatti, appena ho scavalcato il crinale che divide l’entroterra dalla spiaggia, li ho trovati ancora tutti riuniti.
Intanto il vento aveva fatto il suo corso. Si sollevava una leggera brezza che dal mare portava l’odore del sale e il mio odore si mischiava al loro, adesso così vicini, adesso così forte. Ho inghiottito per ricacciare un singulto e subito fatto un respiro e l’ho trattenuto. Ho stretto la terra sperando così di strangolare anche la mia paura. Invece mi è rimasta fedele e vicina come sempre.
Poi ho corso. Mi sono gettato in mezzo.
Ne ho colpiti diversi. Non so quanti. Sono atterrato su di un corpo che già si trovava a terra e quando le mie zampe lo hanno toccato si è scatenato un rumore di legna secca che si rompeva. Emettevano versi atroci. Quando mi sono voltato ho avuto il tempo di vederne qualcuno che fuggiva verso la boscaglia. Due di loro rimanevano in piedi a fissarmi. Hanno socchiuso gli occhi ma continuavano a guardarmi e due lampi sono partiti dalle loro mani. Lampi e tuoni. Il petto ha cominciato a bruciarmi e il dolore mi ha strappato via la paura in un attimo. Adesso masticavo la testa del primo e scavavo nelle carni del secondo che ancora si muoveva.
Mi sono guardato intorno. Il sangue di quelli a terra gocciolava e si mischiava alla sabbia. Aveva già iniziato a formare delle palline di un colore intenso, quasi nero.
Ho seguito le impronte di quelli che erano scappati. Non sono riuscito a trovarli tutti. Ne ho scovati solo tre. Uno aveva circa le stesse dimensioni dei precedenti, gli altri due erano molto più piccoli. Questi non smettevano di emettere quei loro suoni assordanti. Quello più grande brandiva un ramo e lo muoveva velocemente nella mia direzione. L’ho portato via assieme al suo braccio poi ho potuto saziarmi con uno degli altri due.
L’altro l’ho portato a casa. I piccoli si sono divisi le parti con strattoni nervosi di gioia e di fame. Mentre li guardavo non capivo perché era rimasto nella mia testa uno dei suoni urlati da quegli esseri. Qualcosa che non riuscivo a pronunciare ma che mi era rimasto nelle orecchie. Adesso lo sentivo bene, lo ricordavo con le sue sfumature e con quella sgradevole melodia. Osservavo i miei piccoli che mangiavano e masticavano e pensavo a quel suono che ricordavo come: “i miei bambini”. Poi mi sono steso e i piccoli si sono addormentati sulla mia pelliccia e abbiamo sognato nel nostro odore.
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29 novembre 2011
Molto bello questo racconto. Descrive così bene le scene che ti sembra di vederle! Senna
29 novembre 2011
bravo bravo!!! mi piacciono la forma, l’introspezione…. ho fatto anch’io questo viaggio insieme ”al protagonista”!!!! wouffff!!!!
29 novembre 2011
Geniale l’inversione del punto di vista.. benché sia stata già effettuata in altri racconti il nostro “antropo-ego-centrismo” ce la fa vivere come una sconvolgente sorpresa, come se i pensieri, le sensazioni e i sentimenti fossero elementi esclusivamente nostri..
29 novembre 2011
Bravo Thomas, questo racconto mi ha fatto sentire l’odore e le sensazioni che ha provato il protagonista: ho immaginato il buio, il vento, la sabbia e il sapore del sangue durante la strage.
Bravo.
30 novembre 2011
fico… m’ha colpito questa frase “Ho stretto la terra sperando così di strangolare anche la mia paura” rende un sacco l’idea…
9 dicembre 2011
complimenti…sentivo l’odore!!
1 marzo 2012
Thomas caro, il tuo racconto lascia emergere la tua vasta cultura e il tuo immaginario (che sto imparando a conoscere); mi sorprende – e sono felice di conoscere – la tua abilità narrativa, la tua capacità di trasmettere immagini mediante le parole, sensazioni, e di emozionare.
Ottima la scelta dei vocabili, su di me ha avuto effetto.
Elisa