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Indignazione è la storia di un ragazzo complesso, intellettualmente precoce, profondo nelle considerazioni e calibrato nel pensiero. La storia di un giovane uomo che, come noi, riesce a trovare imbarazzo nei riti del mondo e li giudica, mettendone a nudo le contraddizioni, le assurdità, non piegando mai la testa, gridando “Fuck You” senza badare alle conseguenze, ripetendosi come in trance “la parola più bella di tutte: IN-DI-GNA-ZIO-NE”.
Questo fantastico esemplare di uomo è Marcus Messner; un ragazzo ateo di estrazione ebraica nato a Newark (Roth ci racconta luoghi e usanze che conosce bene) figlio di un macellaio Kosher: un uomo saggio, forte, capace di sostenere la sua famiglia e quella dei fratelli, anche in seguito ai lutti inferti dal secondo conflitto mondiale. Dal padre, sviscerando polli e pulendo bidoni del grasso, Marcus impara una lezione fondamentale: quando una cosa va fatta, va fatta bene. Un sentimento di stima e di affetto lega tutta la famiglia fino a quando, giunta l’ora di entrare in università, il lato oscuro e profetico del nostro macellaio prende il sopravvento, trasformandolo in un vecchio insopportabilmente ansioso e livoroso.
Arrostivo fegatini di pollo, arrostivo bistecche, e noi due non eravamo mai stati così felici insieme. Eppure, poco tempo dopo ebbe inizio la distruttiva lotta tra di noi: Dove sei stato? Perché non eri a casa? Come faccio a sapere dove sei quando esci? Sei un ragazzo con uno splendido futuro davanti, come faccio a sapere che non vai in posti dove potresti farti ammazzare?
Inizia qui la storia del giovane Marcus, che indignandosi di fronte alle folli accuse del padre, decide di fare una cosa, e di farla bene: fuggire, iscrivendosi in una lontana università dell’Ohio.
Le vicende sono raccontate in prima persona. Un “Io Narrante” che sviluppa in modo coerente tutta la sua weltanshaung sull’america degli anni ’50, divisa tra i riti e i divieti della borghesia più conservatrice e il gravoso impegno bellico in Corea.
Marcus ci racconta della sua vita in università. Ma quella Winesburg, in realtà, è una piccola metafora di quel periodo storico, dei problemi legati all’esternazione dei sentimenti, all’accettazione delle posizioni altrui, all’impossibilità di poter sfuggire agli schemi del pensiero dominante senza sacrificare parte di se.
Il nostro protagonista non è un ribelle, un fuori legge o un sobillatore; al contrario è quieto, determinato a diventare lo studente migliore del Campus. Riflette su ogni piccola azione. Ci medita a fondo… e infine “sbaglia”, a volte sapendo di cadere in errore, altre volte per difendere i diritti di un individuo troppo onesto ed intelligente per sentirsi a suo agio. Marcus conoscerà la follia dei rituali civili e religiosi (quasi sempre commisti), la follia della donna che ama, la follia del suo compagno di stanza misantropo e omosessuale, la follia del Decano maschile della sua Università… conoscerà insomma la quotidiana e banale follia di quei riti a cui si appella la gran parte della società, non riuscendo a trovare ragioni sufficiente per vivere semplicemente in pace.
Il libro è composto da tre capitoli. Il primo, ovvero i quattro quinti del testo, si intitola “Sotto Morfina”.
Questo è indignazione. Un monologo sotto morfina di un ragazzo splendido che vi farà riflettere.
Consigliato a tutti coloro che almeno una volta nella vita si sono sentiti “dei giovani intellettualmente precoci e saputelli, che si autoproclamano membri di un’elite, e hanno bisogno di sentirsi superiori ai compagni, superiori addirittura ai professori, e per questo attraversano la fase dell’ammirazione per un agitatore o iconoclasta del tenore di Russell o Nietzsche o Shopenhauer.
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una recensione di Giorgio Michelangelo Fabbrucci [email protected] twitter@iFabbrucci