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FEDOR M. DOSTOEVSKIJ – DIARIO DI RASKOLNIKOV

Non avrei mai pensato di incontrare così tante difficoltà nel recensire quest’opera, assai breve e, a conti fatti, meramente preparatoria del definitivo “Delitto e castigo”.

Seguendo le direttive del mio animo, sono abituato a commentare romanzi che sento, scartando tutto il resto: per come sono fatto non riuscirei a spendere parte di me nel raccontarvi qualcosa che mi ha lasciato nell’indifferenza più assoluta, inclinazione quest’ultima assai ricorrente in me, peraltro.

Tanto premesso per dirvi che in questo caso specifico non mi sono limitato a sentire l’opera: per quanto la cosa possa sembrarvi supponente, non mi vergogno a confessarvi che il personaggio di Raskolnikov, specie nella definitiva trasposizione in “Delitto e castigo”, e in generale tutta la letteratura dostoevskijana, mi hanno marchiato a fuoco sin dall’età di quattordici anni, continuando a ribollire e vivere nelle mie vene durante gli anni successivi, al punto da non essere più in condizione di leggere ulteriore letteratura russa.

Ho assorbito tutto ciò che c’era da assorbire e mi sento ormai saturo, emotivamente e spiritualmente segnato, compromesso, consapevole.

Venendo all’opera in sé, questo “Diario di Raskolnikov” (1860) rappresenta dunque un semplice lavoro preparatorio nel quale l’Autore, palesando tracce del genio che sarebbe maturato ed esploso in seguito, entra nel personaggio, incarnandosi e fondendosi in esso. In effetti, solo grazie a questa tecnica Dostoevskij riuscirà in seguito ad elaborare un romanzo così fortemente introspettivo e psicologico, dove il tormento, l’angoscia, la disperazione e poi la finale resurrezione scuotono l’animo del lettore fin dalle fondamenta, attuando sullo stesso una sorta di transfert emozionale, in cui chi legge È Raskolnikov.

Certo, in questo caso specifico stiamo parlando di un semplice lavoro preparatorio, che mi permetto di consigliare a coloro che hanno già letto “Delitto e castigo” e, marginalmente, a quelli che, spaventati dalle dimensioni dell’opera definitiva (in realtà, meno voluminosa di quanto si possa pensare), ovvero dalla possibile pesantezza dei contenuti (secondo un luogo comune difficile da sradicare) preferiscono un approccio più soft.

La prima categoria di persone proverà un’emozione dolce, intensa e malinconica, nel rileggere di lui, Rodiòn Romanovic Raskolnikov (qui indicato col nome Vassia, diminutivo di Vasilij), dell’amico Razumichin, del tenente Ilija Petrovic e del commissario Nikodim Fomic. Vero, il racconto si limita a tratteggiare gli aspetti tormentati e sofferenti di Raskolnikov, nella fase iniziale, dopo la commissione del delitto (ovvero l’incipit dell’autentico castigo), escludendo quei personaggi che contribuiscono a rendere il romanzo definitivo un eterno capolavoro (Sonja, la sorella Dunja, l’odioso Luzin, l’enigmatico Svidrigajlov e l’eroico Lebezjatnikov per dirne alcuni).

La seconda categoria di lettori, ne sono più che certo, non potrà che incuriosirsi ed essere tentata dall’acquisto del romanzo completo anche se, in questo caso, mi permetto di raccomandare prudenza: il nichilismo di cui l’intera opera è permeata, per quanto ammorbidito da insistenti rigurgiti cattolici (unico aspetto che il mio radicato ateismo non può accettare), unito all’angoscia che attanaglia il lettore senza concedere sconti, suggeriscono l’approccio da parte di lettori esperti, preparati, maturi.

Io ho incontrato Raskolnikov quando avevo quattordici anni, in occasione della canonica lettura liceale imposta: tutta la classe scelse Tommaso Campanella, mi pare, io fui l’unico ad optare per “Delitto e castigo”, e fui ovviamente sbeffeggiato quando si venne a sapere che, in quell’estate di vent’anni fa, mi ero letto tutti i romanzi di Dostoevskij. Ricordo bene lo stato febbrile che mi pervase durante quello strano periodo: il mio animo, all’epoca un lenzuolo bianco e immacolato, venne segnato in maniera indelebile e definitiva da ciò che lessi, e tutte quelle emozioni che esplosero in me condizionarono parecchi anni della mia vita successiva.

Ancora adesso, so per certo che qualche aspetto del mio carattere è ancora avvinto da una risacca emozionale che mi impedisce di raggiungere la riva del distacco spirituale.

Per quanto quest’esperienza sia stata indubbiamente una fortuna, potessi tornare indietro farei scelte diverse: chiunque metta in mano a ragazzi così giovani libri del genere dovrebbe avere coscienza di ciò che fa, a mio modesto parere.

Sempre che, a sua volta, abbia letto ciò che impone.

Vi prego di scusare questo mio sproloquio, e le frequenti contaminazioni personali che ho inserito all’interno di questa recensione che, mi rendo conto, avrebbe forse dovuto essere asettica e distaccata.

Tuttavia, quando un romanzo non si limita ad emozionare, ma a staccare pezzi di cuore, rimescolandoli in un vortice esistenziale ad elevata pressione, gli esiti sono inevitabilmente introspettivi e poco oggettivi.

Chiunque senta un romanzo si prepari, dunque: questo è Raskolnikov.

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una recensione di Marco LaTerra
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Author: Marco La Terra

Marco La Terra, classe 1977, vive il senso di alienità dell’epoca infausta in cui è recluso in modo viscerale e sofferente, cercando di rintracciare in tutto ciò che è “altro da sé” una forma spuria di logica superiore.

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