Recensione di Giorgio Michelangelo Fabbrucci
“Non è un paese per vecchi” è il primo romanzo di Cormac McCarthy ambientato in epoca contemporanea: gli anni ottanta. Nondimeno la differenza con le sue opere precedenti non è affatto netta. Come solito lo sguardo vaga sconsolato e attento tra le valli di polvere e i deserti del confine Mexico Stati Uniti. Qualche variante protourbana (motel, parcheggi, strade d’asfalto scalcagnato) rende il tutto un pochino, ma non troppo, più attuale. L’atmosfera rimane quella a cui ci ha abituati. Un assoluto, in cui l’uomo sembra essere apparso per caso: da un lato incapace di darsi risposte adeguate sulle ragioni della sua presenza, dall’altro sottomesso ed abbacinato dalla potenza di queste distese eterne di morte e di vita astiosa. Vi è però un’evoluzione potente non solo nel ritmo della narrazione (che si fa più spedita, ritmata, attuale) ma anche nelle tematiche affrontate. McCarthy, partendo dal suo archetipo (per certi versi manicheo) uomo versus Natura, approda ad una critica puntuale e senza appello della nostra epoca.
“Non è un paese per vecchi”è sicuramente ascrivibile al genere thriller di cui rispetta i topos del inseguimento, della ferocia e della suspence. Il tutto prodotto da un accidente casuale: il ritrovamento da parte di un saldatore (ne ricco ne sveglio) di una valigia stracolma di soldi. Altresì, nella migliore tradizione dell’autore, vi sono anche forti elementi western: banditi e cowboy, in stivali di pelle e capelli a tesa larga, che inseguono per l’America del profondo sud, il bottino e la sua scia di sangue.
Eppure, ad una lettura un pochino più attenta, notiamo che questi moderni cowboy sono in fondo stanchi di cavalcare, che il loro senso di giustizia e la loro fiducia nel grande sogno americano è venuta meno. All’opposto percepiamo che “i cattivi” sono più vivaci che mai; intuiamo che in un modo o nell’altro, forse, l’avranno vinta e che, forse, il finale non sarà affatto lieto.
Ma allora cosa diavolo è questo romanzo?
E’ un’accusa mai (ma proprio mai) velata agli effetti perversi che produce il denaro nella nostra società. Una critica pedante, quasi sermonica, affidata ad un trittico di personaggi delineati in modo religioso. Lo sceriffo Bell, l’uomo di buon senso e di buona volontà che pontifica sull’attualità attingendo argomentazioni dal suo passato familiare e dalle tragiche vicende di cui è testimone; Llewelyn Moss, la pecorella smarrita, che poteva trascorrere una vita umile e tranquilla con la sua giovanissima fidanzata e che all’opposto ha scelto la via della perdizione, materializzata in quella borsa piena di maledetti dollari. Infine c’è lui, Anton Chigurh, l’incarnazione del male assoluto, del principe di questo mondo. Un bastardo scaltro e di classe superiore, scrupoloso nell’osservare prescrizioni infernali autoimposte e audace nel plasmare efficaci, quanto originali, macchine di morte.
Il diavolo, il buon pastore e la pecorella smarrita immersi nell’odore di zolfo e nelle nubi di sabbia di un morente West. Consigliabile lettura a chi ha fiducia nel futuro.
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Giorgio Michelangelo Fabbrucci [email protected] VAI ALLO SPECIALE MCCARTHY!
29 ottobre 2011
Questo è un libro che dà molti problemi a noi lettori perché si basa su due cose abbastanza angoscianti: l’avanzare dell’età e i tempi che cambiano, ecco questi due elementi si racchiudono nello sceriffo Bell che è vicino alla pensione e capisce che il suo tempo è scaduto sia dal lato professionale ed esistenziale. Bellissimo libroche butta in faccia la crudele realtà e cioè che la nostra società è al capolinea. Infatti McCarthy scrive che quando non si dice più “grazie” o “per piacere” significa che la fine è vicina e forse è meglio togliere il disturbo come farà lo sceriffo Bell. Mi piacciono tutti i libri di McCarthy ma questo posta nella mia vita da lettrice una posizione preferenziale e proprio perchè è ambientato nei nostri tempi lo trovo quasi profetico in qualche sua parte!
29 ottobre 2011
Cara Anifares, hai sottolineato un aspetto importante nel testo. Un aspetto commovente, che a mio avviso però non viene proposto solo come vecchiaia individuale ma piuttosto come inadeguatezza del passato agli orrori ed errori del presente. Tu che ne pensi? Buona serata. GMF
29 ottobre 2011
Nel libro non è la vecchiaia nostalgica del tipo, ai miei tempi era tutto diverso, e un altro tipo di vecchiaia, è l’aver capito di aver fatto degli errori nel passato e quindi il presente e il futuro non è messo proprio bene, è l’aver compreso che il mondo va in tutt’altra direzione di dove vai tu e quindi ti senti inadeguato e forse in vecchiaia è meglio così perchè non sapresti cosa fare e forse la morte è la soluzione migliore. Lo sceriffo Bell impersona chi ha visto il mondo cambiare e capisce a malincuore che è meglio togliere il disturbo in fondo lui non è fatto per questo tipo di mondo dove i criminali (vedi il pazzo) sono ben diversi da quelli che lui ha affrontato in passato. Non so se è chiaro quello che ho scritto ma credo che più di parlare di inadeguatezza del passato io pareleri d’inadeguatezza del presente … credo!
22 novembre 2011
Nella produzione di McCarthy a mio avviso questo non è il testo più complesso. Sono presenti, potenti, le caratteristiche a cui McCarthy ci ha abituato fino ad oggi: la violenza feroce, i lunghi spazi vuoti, i silenzi e trovo sia un libro con un ritmo unico, non a caso i Cohen sono risciti a fare un’ottima trasposizione cinematografica (in cui non esiste colonna sonora per esempio). Merito una scrittura che descrive ma soprattutto racconta. Ciò che trovo interessante però in McCarthy è la sua devozione per il male. Leggendo le sue pagine, questa è la mia opinione, si percepisce quanto profondo e radicata sia la convinzione che il mondo sia fondato sul male, il sangue e il dolore. In ogni sua opera c’è un personaggio (o più di uno) che incarna la cattiveria allo stato puro e non vi è mai nessun “buono” a contrapporsi. Semmai, i personaggi, vengono investiti dalla violenza. Lo scontro qui è fra Llewelyn e il terribile Anton Chigurh. Lo sceriffo è impotente non credo per una questione nè generazionale nè temporale quanto più per l’ordine naturale delle cose. Fermare la violenza vuol dire farsi investire da essa, come da un tornado e per farlo si deve essere consapevoli che prima o poi si venga spazzati via. Lo sceriffo commenta ma teme. Il vero cowboy qui è Chigurh, è lui il protagonista, è lui che muove gli eventi. Inseguitore e inseguito. Il mondo non cambia, ruota sempre attorno alle stesse regole, quando appartengono alla metà dell’800 di Meridiano di sangue o agli anni ’80 di Non è un paese per vecchi. La nostalgia di fondo che ci accompagna sempre quando leggiamo McCarthy scaturisce dalla grande distanza che si è creata fra uomo e natura. Una distanza non più colmabile e già presente quando gettavano i binari della prima ferrovia nell’Ovest ma per quanto il mondo possa cambiare attorno a noi la natura umana rimane tale: grondante di sangue.
25 gennaio 2012
Condivido in pieno l’analisi di Thomas, per quel che riguarda il fondamento sul male dell’impostazione narrativa di McCarthy, in quest’opera. Sul piano della caratterizzazione dei personaggi, personalmente ho molto apprezzato, e quasi simpatizzato, con Anton Chigurh che, pur malvagio e, non a caso, l’unico veramente in grado di opporsi alla centrifuga delle forze di natura perché “contro natura” e bestiale al tempo stesso, dimostra di avere un filo logico sul piano del comportamento, che va da un incipit ad un epilogo.
Moss ha tutte le carte in regola per condurre un’esistenza piena e felice ma, sopraffatto dalla tentazione (quindi da una certa forma di debolezza) sbanda e affonda. Lo stesso, a mio avviso, vale per lo sceriffo Bell, uomo integro e di sani principi, tuttavia ripiegato su se stesso dall’incedere della vecchiaia e, a livello filosofico, dalla consapevolezza che “si stava meglio quando si stava peggio” e che il suo tempo è ormai al tramonto.
Anch’egli, dunque, non riesce a restare coerente.
L’unico personaggio davvero lineare, pur nella sua brutalità, è appunto Chigurh che, non a caso, alla fine trionfa: volendo dare una lettura negativa all’opera sono pienamente d’accordo con voi. Sforzandomi (ma nemmeno più di tanto) di volervi vedere qualcosa di positivo, a me ha molto colpito il concetto di coerenza, appunto: oramai quasi del tutto smarrito, recuperabile tuttavia grazie a una condotta di vita estranea al contesto reale, bestiale, contro – natura. Certo, anche questa seconda lettura troppo ottimistica non è, a dire il vero, ma per la mia visione personale delle cose, l’idea di un trionfo della coerenza su tutto ciò che ci circonda, in parte consola, anche se ciò va a scapito dei propri simili.
Per quanto contro – natura, la condotta di Chigurh svela una delle fondamentali leggi sopra cui si regge l’ordine naturale delle cose: quella del più forte.
Ed è giusto così.