Se guardi il cielo lo vedrai dello stesso colore, dovunque tu sia. Un solo unico unitario ed indistinguibile cielo con migliaia di indici puntati, di occhi appannati e di nomi, quante sono le lingue dei popoli.
Tutto muta, lentamente, nel mondo. Altre volte rapidamente, senza che cambi direzione, colore o intensità. Tutto ciò è vero e così la pensa anche lui, l’uomo con l’impermeabile, fuoriuscito come un fantasma dalle pagine del sesto capitolo di un libro celeberrimo, reduce da uno strano funerale irlandese. Un uomo strano, senza volto, senza passato né futuro apparente. Perché forse non è un uomo ma solo un’immagine a due dimensioni, come quelle delle decalcomanie che avevi tra le tue dita da piccolo, senza profondità, senza davanti o dietro.
Non è facile descrivervelo e forse non è nemmeno il caso. Per qualcuno è un marito infelice. Per altri solo un personaggio a margine. Per altri ancora si tratta dell’autore stesso che appare nel libro al solo scopo di rimanere nella memoria della gente, quasi che questa fugace apparizione, tanto simile ai ritratti incasellati qua e là tra i quadri del rinascimento, sia solo la prova che l’eternità non esiste se non per gli uomini e per le parole cui affidare la propria immagine, la propria voce. Un suono di sé.
In ogni caso sono convinto che la pensi così, anche lui, ora che l’ho afferrato con forza e gettato in questa nuova trama in cui non si ritrova, non ci è abituato. Di solito lo trattano bene, non lo occupano eccessivamente mentre io, beh, io da lui pretendo una modesta ma concentrata attenzione da protagonista. Ne sarà all’altezza? La pensa così, comunque, e sale le scale appoggiandosi al corrimano di legno rivangando tra gli oggetti nelle tasche alla probabile ricerca della chiave.
E allora, perché no? Cominciamo da questa benedetta chiave che ogni volta che la cerchi mai la trovi.
In origine l’uomo con l’impermeabile la chiave non la possedeva proprio. Per la verità non aveva nemmeno idea di abitare in questo nuovo appartamento che poi somiglia così tanto al mio. Non c’è da stupirsene avendolo preso come modello. Insomma l’uomo con l’impermeabile era rimasto tranquillo per un po’ di tempo (mi pare dal 2010 quando un altro scrittore l’aveva rievocato per un suo romanzo).
Il fatto di averlo chiamato deve averlo stupito ed anche un po’ amareggiato. Almeno sino a quando gli ho consegnato, con una sola frase, la chiave. È d’argento con graziose cesellature in oro sbalzato. E serve per aprire la porta, ovviamente, anche se è tanto bella. Un porta, quella che apre la chiave, che conduce oltre ogni immaginazione di spazio e tempo. E l’uomo con l’impermeabile ora sale le scale con la chiave nella mano destra. Un personaggio senza nome, senza dimensione, misterioso quanto banale che sale le mie scale con le mie parole afferrando una chiave fantastica che io gli ho regalato. E la porta, infine, eccolo lì, davanti a questa enorme porta alta dieci volte lui con una serratura magicamente minuscola per la mia chiave (anzi la sua). Nella toppa, gira e poi il vuoto, davanti a sé.
Mi sono in effetti riposato, proprio ieri e non mi è riuscito di costruire, immaginare un mondo per questa storia, nemmeno un interno d’appartamento o stanza o torre o quello che è.
E quindi ho lasciato il vuoto. Un vuoto in cui l’uomo con l’impermeabile si affaccia perplesso chiedendosi quale sarà ora il suo destino.
Il vento soffia violento su di lui scuotendo l’impermeabile e per poco rubandogli il cappello. Che sia un ricordo di lui, il cappello? Non so, forse. In effetti non si conoscevano e la sua presenza in quel luogo avrebbe anche potuto essere dovuta ad altro.
Ma che importa ora? Siamo qui e tutti noi non possiamo che osservare l’angoscia che ottenebra il volto del nostro uomo con l’impermeabile e quasi quasi ci viene voglia, sì proprio voglia di parlargli, di dirgli di arretrare che ci fa paura se sta lì, proprio sulla soglia di quel corto circuito mentale che è questo racconto interrotto per mancanza di fantasia. Ma non possiamo e nemmeno possiamo lasciarlo lì perché ogni storia deve concludersi con un fatto, una circostanza, un aneddoto circa il nostro personaggio per non doverlo lasciare in bilico, sovrappensiero, inutilizzabile per altri scrittori che non potrebbero sottrarlo dall’intensa quanto inutile attività che lo abbiamo costretto ad intraprendere e quindi: Salta! E non pensarci che domani è pur sempre un altro strano giorno. Quando ti rievocherò sarà per sempre.
Così gli prometto ma poi immagino qualcosa, forse una casa, la stessa dove la porta si è aperta sul vuoto. È un stabile alto e grasso con uno strano e sgargiante vestito fatto d’intonaco e pittura lucida e oleosa, quasi come plastica. E questo stabile ha una cantina, immagino, al di sotto, molto al di sotto per lo meno spero della quota in cui si trova il nostro uomo, ormai perduto nell’ansia di uno sguardo oltre l’orizzonte dell’infinito. E questo tunnel, cantina o baratro ove le bottiglie ed il formaggio banchettano oltre ogni scoglio del tempo, sbeffeggiando i morti che mai li hanno osati disturbare, ecco che sprofonda verso il centro di qualcosa che non può avere contorno né circonferenza. Un cerchio senza raggio. Un tratto curvilineo chiuso ed impenetrabile alla parola del tempo che fu.
Sopra di sé, pertanto, il cielo, sempre a se stesso uguale per ogni occhio ed ogni lingua; davanti allo sguardo cupo il ventoso orizzonte del nulla e in basso lo sconvolgente abisso della conoscenza del buio più nero.
Così, l’uomo con l’impermeabile saltò.

2 comments
Elisa says:
gen 17, 2012
ReplicaE’ interessante questo racconto, in genere non amo i giochi metatestuali ma questo ha il fascino del vuoto.
“E quindi ho lasciato il vuoto. Un vuoto in cui l’uomo con l’impermeabile si affaccia perplesso chiedendosi quale sarà ora il suo destino.”
M.Arcieri says:
gen 19, 2012
ReplicaGrazie Elisa. Mi fa molto piacere che ti sia piaciuto il mio racconto. Spero continuerai a leggermi.
Saluti
M.A.