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Cormac McCarthy – Il Buio Fuori

Recensione di Marco La Terra

Il buio fuori.
Dentro.
Ovunque.
Avviso per il lettore: questo romanzo genera angoscia, dalla prima all’ultima pagina.
Non c’è speranza, né allegria, né gioia.

“Lo aveva scosso facendolo emergere dal buio al buio, fuori da una calca vociante sotto un sole nero, e adesso era sveglio in una notte ancor più dolorosa, seduto, e imprecava sottovoce nel letto che divideva con la donna e con il peso senza nome che lei portava nel ventre”.

 Questo per darvi un’idea.

Ulteriori indicazioni: l’alternanza fra notte e giorno è qualcosa di sfumato e indefinito, lo stesso ritmo sonno – veglia dei protagonisti è assolutamente casuale e posto al di fuori di ogni regola di natura. I personaggi si muovono entro foreste umide e frondose, dove le radici degli alberi emergono selvagge dal terreno, a rendere più impervio il cammino, ed i rami si intrecciano fra loro in una sorta di disperata preghiera verso un cielo sordo, dimentico dei propri figli.
Si naviga a tentoni, come un cieco che abbia smarrito la retta via, fino a raggiungere un inaspettato, quanto impietoso, epilogo.
I due protagonisti della vicenda, Culla e Rinthy Holme, camminano solitari senza una meta precisa e definita, alla ricerca di qualcosa che, forse, non troveranno mai. Camminano perché la disperazione, e l’assoluto nulla che segna le loro vite, li spinge a non fermarsi: come bestie, vagano alla ricerca di cibo e acqua, senza seguire una strada ben delineata, nella vana speranza di poter raggiungere questo qualcosa che tormenta cuori e coscienze.
In generale, tutti i personaggi caratterizzanti “Il buio fuori” una retta via non ce l’hanno mai avuta.
Dimenticati da Dio, e perciò espulsi dall’ordine naturale delle cose, sono ridotti ad uno stadio primitivo: sporchi, cenciosi, selvaggi, affamati, spogli di qualsiasi principio morale, vivono in modo inerte un’esistenza che, giorno dopo giorno, cercano di trascinare sino all’ora del tramonto, quando la notte giungerà a coprire l’assoluto vuoto dei loro cuori, sotto una coltre di buio assoluto.
A dire il vero, non mancano esempi di generosità e carità cristiana, primo fra tutti il vecchio calderaio che, pur nella consapevolezza di essere stato dimenticato da dio e rifiutato dal consorzio umano, persevera nel suo gesto di bontà sino all’estremo sacrificio. Altri personaggi, spesso e volentieri grotteschi e a tratti surreali, nascondono dietro le pieghe dell’apparenza una dolcezza ed una sensibilità fuori dal comune, capaci di interrompere, per brevi tratti, la notte eterna in cui la vicenda è ambientata.
Durante la lettura del racconto, l’ansia e l’angoscia sono fedeli compagne che non mollano mai la presa. Sono sempre lì, nude ed eterne, ad attanagliare il cuore del lettore entro una morsa di cruda disperazione, gettandolo in un baratro dalle pareti lisce e levigate, una discesa nel regno degli Inferi senza alcuna possibilità di risalita.
L’incipit del romanzo è molto traumatico, al punto da spingere il lettore a chiedersi se sia il caso di proseguire oltre; successivamente si stabilizza su tinte fosche, salendo di tono in maniera lenta e graduale, fra scene di cruda violenza e qualche rara gemma di autentica umanità. L’epilogo registra un nuovo cambio di tono: crudeltà, cinismo e violenza spazzano coscienza, affetti e pietà come ospiti indesiderati, tratteggiando un contesto nel quale non vi è nulla per cui sperare se non l’inesorabile ingresso della morte.
Non vi è logica, o speranza alcuna, per coloro che si sono volontariamente posti al di fuori dell’ordine di Natura, siano essi vecchi dementi, giudici folli, briganti o figli incestuosi. Tutti colpevoli, indifferentemente.
Tutti senza speranza, destinati all’oblio, perché così è scritto.
Oltre il buio è un viaggio negli abissi dell’umana disperazione, semplicemente: io l’ho portato a termine e sono giunto dall’altra parte del guado più consapevole di certe cose, con gli occhi più vigili nei confronti di sensazioni che, prima, credevo sopite.
McCarthy produce quest’effetto, nel lettore: lo picchia, lo maltratta, lo angoscia ma infine, a conclusione di tutto, lo trasporta sopra terre inesplorate svelando ai suoi occhi orizzonti inconfessabili.
Io mi sento così, adesso, mentre vi scrivo, dopo aver assorbito l’urto e metabolizzato i contenuti: ripenso a tutto quanto, rivedo boschi, sentieri e sparuti villaggi, fiumi in tempesta e baracche abbandonate. Rivedo Culla, Rinthy, il calderaio e tutti quei personaggi grotteschi, mi sembra di essere ancora lì con loro.
Ispiro profondamente l’aria nei polmoni, quale sfogo parziale ad un’angoscia che non mi ha ancora abbandonato del tutto: sento il profumo del muschio selvatico pizzicare le mie narici, l’essenza della rugiada, l’odore della nebbia. La brina sui campi incolti.
Mi volto verso la finestra, quasi a smentita di un dubbio ancora latente: sono le sei del mattino. Il buio fuori.
Sorrido.

___

Marco LaTerra
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Author: Marco La Terra

Marco La Terra, classe 1977, vive il senso di alienità dell’epoca infausta in cui è recluso in modo viscerale e sofferente, cercando di rintracciare in tutto ciò che è “altro da sé” una forma spuria di logica superiore.

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6 Comments

  1. “McCarthy produce quest’effetto, nel lettore: lo picchia, lo maltratta, lo angoscia ma infine, a conclusione di tutto, lo trasporta sopra terre inesplorate svelando ai suoi occhi orizzonti inconfessabili…” Sottoscrivo in pieno! Sono le stesse sensazioni che ha dato a me!

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  2. McCarthy ha questo effetto sul lettore in tutti i suoi libri, credo che sia una sua caratteristica che lo fa un grande scrittore. In lui sento la vita come in Faulkner, una vita senza fronzoli, una vita per quello che è senza inutili orpelli che la renderebbero non reale. Lui è veramente un grande scrittore e leggerlo fa male come vivere in certi momenti. Qualcuno lo definisce pessimista ma credo che quest’accusa venga da persone che vivono come atomi … non lo so forse mi sbaglio … ma la vita non è una cosa facile (non ho detta brutta) e McCarthy è un maestro in questo …

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  3. Caro/a Anifares… non so chi tu sia ma il tuo commento è bellissimo. In primo luogo perché è sincero, scritto di cuore. In secondo luogo perché è dannatamente vero. Grazie!

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  4. Caro/a Anifares, grazie per il tuo commento, intenso nella forma e nei contenuti. Sottoscrivo in pieno: in McCarthy non vedo uno scrittore pessimista ma, inevitabilmente, una penna permeata da quel romantico realismo necessario per raggiungere quegli esiti stilistici e descrittivi, con cui riesce a deliziare il lettore. Ammettendo la possibilità, peraltro, di imbattersi in qualche rara gemma di bontà sotto la coltre dell’apparenza.

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  5. Grazie Giorgio e Marco ma è quello che sento semplicemente verso un grande scrittore. Aspetto trepidante la recensione di “Non è un paese per vecchi” che trovo veramente un grande e immenso libro forse perchè lo sceriffo tira le somme della sua esistenza e lo trovo così dannatamente nostalgico. Io aspetto!

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    • “La vita non è una cosa facile”: potresti farci un romanzo in stile Maccartiano ;-)…oppure: “Non è una vita per mammole”(No Country for chicken)

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