Racconto breve di Raffaella Foresti
Ostrava nella Repubblica Ceca, Centro Chronos, ore 6.30.
Due infermiere mi svegliano ma non stavo dormendo. Guardavo nella penombra le sue ciglia abbassate e ascoltavo il suo respiro profondo. Sembra felice ma da un pianeta diverso dal mio.
L’infermiera apre gli scuri. La luce chiara dell’alba mi penetra per qualche istante, la nausea mi pervade. Quando mi volto in cerca di lei incrocio i suoi occhi illuminati, già aperti sul domani che per noi inizia oggi, che se non inizia oggi non sarà mai più. Me lo dicono le sue ciglia e quella ruga che le contorna la bocca.
Non capiamo la lingua ma conosciamo il percorso. Lo spostamento tra le corsie somiglia a un viaggio in treno, quando guardi fuori e vedi i campi, le fabbriche e tutte le cose ai margini dei binari che corrono e corrono, all’indietro, così veloci che non puoi distinguere le forme nè i colori e tutto sembra un’indistinta massa lunare mentre tu sei fermo, ascolti la radio e mangi un panino, e devi solo aspettare d’incrociare la tua destinazione.
La nostra prima tappa è la segreteria, dove l’impiegato parla italiano ma non lo comprende e accenna al pagamento. Il nostro cuore batte, mille euro all’ora o forse più. Firmiamo moduli e ci scambiamo sorrisi. Formalità. Un ultimo foglio, un’ultima firma, e la nausea che ritorna come un’onda.
Lei mi guarda. Sono commosso da tanta fiducia. E’ certa che nel match in programma oggi tra i miei nemaspermi e quelli del donatore anonimo sarò io il vincitore. Non posso sottrarmi ma la lotta è impari. Ottanta milioni per millilitro (l’altro) contro una manciata di superstiti (i miei) di scarsa motilità e forma amorfa: teste troppo piccole, troppo allungate, troppo appuntite, troppo rotonde. E coda anomala.
A questo punto ci dividono. Vedo il suo ambiente cervico-vaginale dirigersi verso la sala pick-up, sempre più pronto, sempre più sorridente, aspettando il bacio del trionfatore.
Quanto a me, à la guerre comme à la guerre.
Domattina sapremo.
L’attesa è lunghissima ma non sarà eterna, e io vorrei non finisse mai. Siamo ancora nel presente. Per il momento va bene così.
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un racconto di Raffaella Foresti